Cosa troverai in questo articolo:
Jemo! Quattro giorni alla scoperta delle Marche in bicicletta.
Perché la ruota non si ferma
L’invito di Marche Bike Life – un’organizzazione che promuove la scoperta delle Marche in tutto il suo splendore naturale, artistico e eno-gastronomico attraverso la bicicletta – diceva:
Vuoi scoprire la bellezza delle Marche in bicicletta? Dal 22 al 25 aprile, “Jemo! La ruota non si ferma” organizza il primo Educational Tour dedicato a giornalisti, tour operator, aziende del mondo del ciclismo e professionisti del settore.
In effetti, la bici è perfetta per visitare, scoprire, guardarsi attorno. Il punto di vista ideale, il giusto mezzo, il passo che ci vuole, non troppo veloce, come quello di auto e moto, che passano e vanno, senza guardarsi attorno, né troppo lento, come sarebbe a piedi, che vedi poco e ci metti troppo.
E allora, che facciamo, andiamo, anzi Jemo!
Jemo! è stato un viaggio meraviglioso alla scoperta delle Marche più belle, della gente più vera e di una regione che ce la sta mettendo tutta per rialzarsi, ricostruirsi, reinventarsi. E non è stato solo educational questo tour, è stato anche molto, molto emotional!
Abbiamo visitato paesini medievali arroccati su cucuzzoli come nelle fiabe, conosciuto realtà locali d’eccellenza, assaggiato, degustato e ammirato arte, storia, cultura; abbiamo percorso su e giù, su colli che paiono dolci solo se non li devi superare a pedali.
Siamo andati dal mare alle montagne passando da un’abbazia a un monastero; abbiamo preso il sole caldo e il fresco della sera sotto le stelle, lasciando correre lo sguardo su un paesaggio lussureggiante che inizia con colline verdissime e finisce su monti innevati come le dolomiti a dicembre.
Abbiamo conosciuto persone meravigliose, ascoltato storie, imparato tecniche agricole, scoperto segreti dei nonni e dei bisnonni, condiviso idee, progetti, sogni; stretto amicizie e riso a crepapelle. Abbiamo fatto un detour a Filottrano, per salutare Michele Scarponi e ci siamo commossi fino alle lacrime, davanti a un grande, così piccolo dentro alla sua bara. E abbiamo continuato a pedalare.
Ma non è possibile che siano solo quattro giorni! Sembra una vita che siamo qui, ormai siamo di casa. Abbiamo persino cominciato a parlare con la cadenza dolce e ruvida insieme di queste parti. “Apposto!” Dico ormai ogni cinque parole.
Sono stati quattro bellissimi giorni passati, mi rendo conto ora, principalmente in bicicletta e a tavola, e non saprei dire qual è stato meglio.
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Primo giorno
Dall’Abbazia di Fiastra in giro per i colli con sosta-sostanziosa in un’azienda agricola. 70 chilometri pedalabili. La partenza è fissata per le 9 e, ci avviamo verso il punto d’incontro, la “Riserva naturale dell’Abbazia di Fiastra”, in una giornata tersa, ma ancora freddissima. Queste montagne innevate sono sempre davanti a noi e, continuo a pensare che forse avrei dovuto portare i moon boot, invece delle scarpette da bici.
Al momento di montare in sella, però, la temperatura è già più alta e un sole splendido che ci accompagnerà per tutti i quattro itinerari, ci scalda e rassicura. Partiamo in un bel gruppo, circa quindici, tra partecipanti all’Educational Tour e ciclisti del posto che si aggregano a Jemo! seguendo il tam-tam sui social network.
Passiamo di colle in colle in una teoria senza soluzione di continuità, un saliscendi ipnotico che dà ritmo alle gambe e riempie gli occhi di colori: l’azzurro del cielo fa da sfondo a mille sfumature di verde, che si alternano al color terra dei campi. E va avanti così a perdita d’occhio come dune infinite in un deserto fertile, un mare di onde-colline, interrotte solo qua e là da paesini arroccati che sembrano dipinti.
Passiamo Pollenza e raggiungiamo San Severino, la nostra prima pausa caffè, in Piazza del Popolo, in un giorno di mercato. La piazza, dall’intrigante forma a fuso, è allegra e colorata, piena di gente e di bancarelle. Tutt’attorno, monumenti di grande interesse storico e architettonico fanno da quinta, come il duomo Nuovo, attuale Cattedrale e, il teatro Feronia, per esempio. Ripartiamo, pedalando ognuno al proprio passo alla volta di Serrapetrona, dove un gentile assessore alla cultura ci fa visitare la chiesa di San Francesco che è ricca di storia e di arte, con pezzi importanti come il Polittico e la Madonna con bambino di Lorenzo d’Alessandro.
Ma ridendo e pedalando si è fatta l’ora di pranzo e, l’Azienda Agricola Maggi & Vecchioni, provvidenzialmente situata proprio lì a pochi colpi di pedale da Serrapetrona, ci accoglie affamati e accaldati nella sua bella corte circondata dalle terre della loro attività. E’ un’azienda a conduzione famigliare trans-generazionale: da nonna Jolanda che ha fatto la guerra e certo non dimostra tutti gli anni che ha, al nipote poco più che ventenne, sono tutti lì a darsi da fare. Producono farina e salumi, formaggi, conserve, uova, vino ed è davvero, tutto a millimetro zero, niente filiera, tutto fatto lì, da loro. E mentre ci preparano un banchetto degno di Natale per farci assaggiare tutte le prelibatezze di loro produzione, il giovane Juri ci racconta con grande passione e serietà la loro storia. E’ una storia bellissima, ma non sempre allegra.
Siamo in terre segnate non solo dal terremoto, perché ci dice lui che la batosta più grossa l’abbiano presa con la neve che è venuta dopo, tre volte superiore al solito. Ma han tenuto botta, son gente tosta che non si arrende e, se cade, si rialza e ricomincia da capo.
Juri ci parla del loro modo di fare le cose per bene, con nuove tecniche certo, ma soprattutto antiche, da imparare ricordando come facevano i nonni. E ci mostra ogni cosa con orgoglio, come per esempio, il fatto che se si tengono i chicchi invece che la farina, non è necessario usare i conservanti. E’ bello sentirlo parlare, con quell’accento che sembra che canti e la passione che gli danza negli occhi.
Quando ci alziamo da tavola, siamo decisamente più pesanti, ma le chiacchiere, il buon cibo, il vino rosso – corposo e schietto– valgono molto di più di una performance sui pedali. E allora si riparte lenti, ma col cuore, e non solo la pancia, colmo di bontà.
E torniamo così, nella luce che pian piano si scalda di rosa e l’aria che rapidamente rinfresca.
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La Locanda della Rocca, che si trova in un piccolo borgo sopra San Ginesio, nel Parco Naturale dei Monti Sibillini (sì, proprio loro, quelli bianchi di neve), ci accoglie come fosse casa, tutta in pietra e ricca di quello charme che solo le cose semplici sanno avere. La signora Elisabetta, insegnante di matematica in pensione, si prende cura di noi con una dolcezza che non mi ricordo di aver mai trovato nella mia arcigna professoressa, lasciando al marito avvocato il compito, non facile, di sfamarci.
Mangiamo di nuovo come orchi, partendo dal ciauscolo che non avevo mai provato prima e continuando con ogni tipo di salume e formaggio, tutti locali ovviamente, per passare poi a lenticchie saporitissime e carne cucinata a puntino. Stranamente, gli ettolitri di vino che arrivano e spariscono, non lasciano postumi, sarà l’assenza di solfiti, o l’atmosfera e la compagnia, chissà, ma la mattina dopo mi sveglio prestissimo, in un’alba incantata che si vede dalla mia finestra e non mi sono mai sentita meglio.
Secondo giorno
A Caldarola, terra di Castelli, e poi su e giù fino a Loro Piceno. 80 chilometri di belle salite. Stesso posto stessa ora, stesso splendido sole. Le persone, quelle di ieri ci sono ancora quasi tutte e qualche faccia nuova sorride e si presenta da sotto al caschetto.
Partiamo alla volta di Tolentino, sempre senza farci mancare quell’incessante saliscendi al quale noi e le nostre gambe ci stiamo abituando. E arriviamo a Caldarola, terra di Castelli, recita un segnale turistico. E’ qui che abbiamo il primo vero confronto con gli effetti del terremoto.
Ogni tanto in un territorio che sembra perfettamente integro, ci siamo già imbattuti in cumuli di macerie che prima erano case, senza nessun preavviso, così.
Qui però è diverso, Caldarola è una perla, anzi uno scrigno di preziosissimi tesori architettonici, vestigia di un passato glorioso. La bella Piazza Vittorio Emanuele, per esempio non la si può guardare, così recintata com’è, deserta, offesa. Lì tutto è stato gravemente danneggiato, dal Palazzo dei Cardinali Pallotta, al loro Castello, alla collegiata di San Martino, tutto.
Proseguiamo poi su salite lunghe e così dritte, che a guardarle tolgono un po’ di forza, mentre si va, senza i tornanti a spezzare la linea della fatica. Oggi sembrano più lunghe, ma il panorama è così bello e rigoglioso che ci si dimentica dei muscoli e si va, sempre sotto la severa sorveglianza dei Monti Sibillini coperti di neve, che stanno lì come sentinelle bianche.
Il pranzo di oggi è un pic nic, seduti per terra a gambe incrociate, come da bambini, su un prato, con tutto il cibo in mezzo, sotto un sole deciso, ma con l’aria fresca che lo stempera. Poi, ripartiamo alla volta di Loro Piceno,che si raggiunge con l’ultima vera fatica della giornata: una salita “decisa” anche se sempre pedalabile. L’arrivo è abbastanza spettacolare:
Loro Piceno domina il paesaggio da in cima a un colle ed è così ricco di monumenti e chiese, che bisognerebbe passarci una giornata intera per vederli tutti. Al rientro, i nostri due anfitrioni ci accolgono con tagliatelle al ragù fatte a mano, e noi, da veri ciclisti, facciamo loro onore.
Terzo giorno
Detour a Fillotrano. Un giro triste ma bellissimo. Con vista sulla Madonna. 100 chilometri tra salite, pianure e Castelli. Il terzo giorno subisce un radicale cambio di programma che ci vede d’accordo all’unanimità: andiamo a Filottrano a rendere omaggio a Michele Scarponi, e quindi si parte dalla piazza di Civitanova, dove con un piccolissimo flash mob semi-privato, mostriamo il nostro cordoglio al mondo: sdraiamo per qualche minuto le nostre bici al centro della piazza. Destinazione il palazzetto dello Sport di Filottrano, che ospita la salma.
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Anche oggi che avevamo una meta precisa, le nostre impareggiabili guide Mauro e Silla hanno trovato il modo di trasformare un trasferimento, in un meraviglioso giro:
Potenza Picena, Montelupone e poi verso San Cassiano dove ci aspettava una scalata con pendenze importanti (ho fieramente superato il muro del 19% senza scendere dalla bicicletta!) e quando siamo arrivati in cima, siamo stati ampiamente ricompensati dalla vista mozzafiato a 360 gradi.
Ma poi da Montefano si comincia la discesa su Filottrano, e le chiacchiere calano di tono, e il cuore è molto più affaticato delle gambe: manca poco adesso e ci si ricorda perché siamo lì. Nessuno a questo punto ha voglia di arrivare. Di vedere quello che stiamo per vedere, e di provare quello che sicuramente sarà dentro a ognuno di noi.
L’arrivo è ancora peggio. Molti di quelli con cui stiamo pedalando lo conoscevano di persona e il turbamento è palpabile e rimane a lungo con noi, come un triste compagno di giro. Il ritorno è piatto ma lungo, e con il vento contro, quindi si fatica, anche se i più generosi tirano il gruppo a turno e tentano di distrarre i più affaticati (me) con piccoli detour monumental-culturali, portandoci a visitare il Santuario di Campocavallo, un bellissima frazione di Osimo.
A un certo punto, mi è apparsa la Madonna, imponente e bellissima. No, non ero così stanca da avere le visioni, stavamo passando davanti a Loreto!
Ma dopo cento e passa chilometri, e le emozioni del pomeriggio, la ricompensa è stata una cena a base di pizze, magistralmente cucinate in forno a legna da un pizzaiolo d’eccezione: l’Avvocato Donato, che ne ha sfornato una dopo l’altra , una più buona dell’altra, facendo assistere i più curiosi a tutto il procedimento.
E’ stata decisamente una giornata intensa, fatta di colori, profumi, fatiche, fisiche e emotive, tristezza e tanto tantissimo cibo. Mi addormento di schianto.
Quarto e ultimo giorno
Ci arrampichiamo sui Monti Sibillini a farci dissetare dalle Fate. 40 chilometri di vera montagna. Oggi si va in montagna: si parte da Amandola e ci si dirige verso i monti Sibillini. Pedaliamo in salita con davanti il Monte Vettore e il Monte Sibilla.
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Incredibile come sia diverso il paesaggio dagli altri giorni: più forte, deciso, quasi alpino. Quando spiana, arriviamo al Santuario della Madonna dell’Ambro, molto frequentato dai ciclisti. Proseguiamo poi la nostra strada tortuosa e inerpicata, e Montefortino, parecchio danneggiato, visto da lontano è davvero uno spettacolo che toglie il fiato (che già manca).
Arriviamo alla nostra ultima meta, quella che concluderà in bellezza (e bontà) il nostro Jemo! Tour: Comunanza, dove ci aspetta un birrificio agricolo. I birrifici agricoli, devono, per legge, realizzare la birra usando il 70% della materia prima coltivata nella propria azienda. L’idea stessa di birra agricola è quindi legata alla produzione in proprio e al concetto di filiera a km zero.
Il nome di questo birrificio è già un programma: Birrificio le Fate. Ogni tipo di birra ha il nome di una delle fate alla corte della maga Sibilla, che vivevano in una grotta scavata nella montagna, la grotto delle fate, appunto.
E tutte e 8 belle fresche e spumeggianti, ci aspettano all’interno del birrificio, circondate da ogni ben di Dio da mangiare. Poi, dopo aver ascoltato la storia di questi ragazzi, che esprimono l’amore per la loro terra promuovendo il territorio attraverso l’eccellenza di quello che fanno, ripartiamo per tornare alle macchine e salutarci, ma questa volta non per ritrovarci in sella il mattino, dopo.
Il tour è finito, si torna a casa.
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Partiamo da lì, un po’ più allenati, con qualche chilo di più nonostante i chilometri fatti, con gli occhi pieni di cose belle ed il cuore ancora incredulo per le emozioni vissute, per le splendide persone conosciute e con una domanda in testa: se Jemo in Marchigiano vuol dire Andiamo, come si dirà Torneremo?