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In un portale dedicato al cicloturismo e ai viaggi in bici può sembrare strano sentir parlare di corridori professionisti e di allenamento per le grandi corse: eppure capire cosa di questi tempi sta combinando chi va in bici per professione può servire anche a chi in bici si diletta per piacere, per fare piccole o grandi imprese personali o per portare a termine un lungo itinerario. Lo è ancora di più in questo atipico 2020 segnato dal Covid-19, che ha costretto anche i pro a rivedere i programmi e obbligato l’Uci a rimodulare, compattandolo, il calendario dei grandi Giri e delle grandi Classiche. È appunto per questo che, in piena estate, di questi tempi, puoi sentir parlare di team che effettuano training camp per allenarsi, ovvero che si riuniscono assieme per dei “collegiali” che di solito svolgono a dicembre, al massimo a gennaio. Quest’anno no. Quest’anno la stagione del grande ciclismo inizia eccezionalmente il 1° agosto, la Milano-Sanremo è in programma l’8 del mese, mentre il Tour de France si svolgerà quasi per intero a settembre. Infine, il Giro d’Italia inizierà quando di solito la stagione ciclistica volge al termine, a ottobre. Il programma rimodulato ha obbligato tutti i corridori a rivedere i loro piani.
In allenamento con i pro
La costanza negli allenamenti, la dedizione per il “lavoro”, lo stile nello stare in sella, la simbiosi biomeccanica perfetta con la bicicletta: ci sono tante cose che il cicloamatore o il cicloturista dovrebbe o potrebbe imitare dal ciclista professionista. Ma ce ne sono tante altre che assolutamente non vanno copiate: ho avuto l’occasione di seguire, in pieno luglio, l’allenamento di una squadra professionistica italiana, la Vini Zabu-Ktm, quella del tre volte campione italiano Giovanni Visconti. Si è trattato di un allenamento “monster”, 250 chilometri e 3.500 metri di dislivello sviluppati su un percorso nell’appennino tosco-emiliano, con una temperatura che giù a valle sfiorava i 35 gradi: è proprio da qui che nasce lo spunto di questo articolo su cosa il cicloturista deve evitare del modo e dello stile di allenarsi dei pro. Questo vale ancora di più in questo 2020, un anno atipico anche per come il ciclista di professione è stato costretto a organizzare il suo lavoro.
Dal lockdown alla ripresa del lavoro
Esattamente come tutti i normali cicloamatori o cicloturisti, anche i corridori sono stati obbligati allo stop quasi assoluto nei due mesi di quarantena. I rulli li hanno aiutati, certo, ma a differenza dei cicloturisti il lavoro che il professionista può fare su un cicloergometro non sarà mai in grado di raggiungere quel livello quantitativo e qualitativo che invece assicura il vero allenamento su strada. Ergo, quando finalmente i divieti del lockdown hanno lasciato spazio alla ripresa dell’attività sportiva individuale all’aperto, tanti professionisti hanno ricominciato a fare allenamenti estenuanti, per provare a colmare al più presto la lacuna che due mesi di stop avevano creato nella condizione di forma. Questo modello è quanto di più sbagliato per il cicloturista: è errato strafare in allenamento, magari perché reduci da un lungo stop, oppure strafare perché le ferie estive ci danno la possibilità di dedicare alle amate due ruote tanto tempo del giorno, ma solo per un breve periodo (una, due settimane al massimo). Per chi in bici non va per professione la cosiddetta gradualità nel carico di allenamento è fondamentale, lo è prima di tutto perché quello di andare in bici non è la sua unica attività, ma solo un passatempo da condividere con un lavoro che in molti casi è anche ius lavoro logorante.
Se si è avanti con l’età
Strafare in allenamento è errore ancor più grave se si è avanti con l’età, perché in questo caso tempi e modalità del recupero dopo lo sforzo raddoppiano rispetto a quel che succede quando si ha vent’anni, o in genere quando si ha un’età in linea con quella degli atleti professionisti. Per un corridore di altissimo livello sono sufficienti due giorni di scarico per recuperare un allenamento di lunghissima durata ed alta intensità; per un amatore, invece, andare oltre il proprio limite fisiologico può condurre a uno svuotamento tale dei substrati energetici che in certi casi può portare molti più danni dei benefici: percepire una sensazione di stanchezza per giorni e giorni e, nei casi peggiori, nausearsi della bicicletta al punto da non aver più voglia di prenderla …
Mai allenarsi con il caldo
A differenza del solito, quest’anno i professionisti arriveranno a correre la Milano-Sanremo praticamente senza aver disputato corse, ovvero senza aver acquisito quello che in gergo viene chiamato “ritmo-gara”; come dicevamo questa situazione li ha obbligati a sottoporsi ad allenamenti ad altissima intensità e se non bastasse in piena estate, con l’alta temperatura. È scientificamente provato che quando la temperatura supera i trenta gradi e soprattutto quando il tasso di umidità è elevato (sopra il 70%) il fisico produce una sorta di rifiuto verso gli sforzi di lunga durata ed elevata intensità. Solo per chi va in bici per professione può essere utile lavorare con il caldo, se non altro per abituarsi a condizioni che poi inevitabilmente troverà anche in gara. Per tutti i “normali” ciclisti, invece, la raccomandazione obbligata è evitare di allenarsi con il caldo torrido, perché anche in questo caso i benefici saranno di gran lunga inferiori ai danni che quel lavoro produrrà sul sistema muscolare e sulla motivazione psicologica.
Quando la bici va conciliata con il lavoro
Chi ancora non fosse convinto che l’allenamento del cicloamatore deve seguire un modello totalmente diverso dal professionista dovrà tenere bene a mente che il suo impegno in bici è (quasi) sempre condiviso con un’attività lavorativa o in genere con altri impegni. Una volta terminato l’allenamento il corridore professionista riposa, o spesso si concede qualche ora di sonno dopo le sedute di lavoro più lunghe ed estenuanti. Il professionista ha il tempo e il modo di fare i massaggi o quantomeno sedute di stretching. Situazione evidentemente diversa quella del cicloamatore, che sceso dalla bici dovrà probabilmente recarsi al lavoro; ancora peggio sarà per chi il lavoro lo deve svolgere in piedi oppure per chi svolge lavori manuali, lavori pesanti. In queste condizioni un fisico che si è prima allenato strenuamente in bicicletta non riuscirà a recuperare o nel migliore dei casi recupererà male: il risultato finale in termini allenanti sarà ancora una volta un debito, un debito sia nella condizione di forma in bicicletta, ma anche in termini di attenzione e precisione sul posto di lavoro.
In bici tutti giorni? Solo in casi speciali
Per lo stesso motivo al cicloturista o al cicloamatore è decisamente sconsigliato uscire in bici tutti i giorni come invece fa il corridore, perché non si darà al fisico il tempo e l’opportunità di recuperare. Diverso è il caso di un grande viaggio cicloturistico programmato da tempo oppure quello di una “piccola/grande” impresa personale a tappe, da compiere appunto nel periodo estivo. Appunto, si tratta di un’impresa personale, e in quanto tale non può che avere il carattere dell’eccezionalità, ma non dovrebbe mai diventare la regola.
Alimentazione, quei luoghi comuni sui corridori
“I ciclisti professionisti sono filiformi perché sono sempre dieta, mangiano pochissimo e evitano dolci. La loro alimentazione è rigorosa, limita sia i grassi che gli zuccheri”: se credete che questo sia vero è ora di aggiornare le vostre idee e spazzar via in gran parte questo che è solo un luogo comune. I ciclisti probabilmente sono gli sportivi che mangiano di più rispetto a tanti altri atleti di livello professionistico: in un allenamento “bestiale” come quello che ho seguito io (sei ore e 50 minuti in sella, 245 chilometri, 3500 metri di dislivello e 35.1 km/ di media!) ho visto i corridori mangiare una decina di barrette energetiche, panini al prosciutto e acqua a volontà, spesso con gli integratori salini. Una volta finito l’allenamento, verso le quattro del pomeriggio, hanno poi mangiato subito due piatti di pasta. Hanno poi rimangiato ancora (un po’) di pasta a cena, poi carne e infine una generosa fetta di torta. Se nonostante tutto, i corridori sono così secchi e “tirati” è proprio perché il loro regime allenante li obbliga a sedute di lavoro importanti sia sotto il profilo della quantità che della qualità; il loro fabbisogno calorico giornaliero è incredibile. Per questo anche i corridori di altissimo livello difficilmente disdegnano i dolci, che riescono a metabolizzare davvero in un baleno. Al contrario è proprio l’amatore o il cicloturista che dovrebbe badare di più alle quantità di quel che ingerisce: il ciclismo è sport dove si consuma molto, questo è verissimo; ma ricordiamoci sempre che il vero consumo di grassi inizia soltanto dopo due ore/due ore e mezzo di attività svolta ad intensità media o alta. Fino a quel momento l’organismo consuma soltanto zuccheri sotto forma di glicogeno depositato nei muscoli e nel fegato. Mangiare barrette o integratori in queste condizioni può anche non servire, o peggio può produrre l’effetto contrario: accumulare ulteriore peso.