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Il penultimo weekend di agosto a La Vinaria c’era tutto quello ci voleva per sentirsi a casa. Perché questo è La Vinaria, una festa in famiglia.
C’era il sole caldo, ma già con qualche accenno di ragionevolezza.
C’erano il mercato di Marlia, e le sue bancarelle, l’Ape Ritivo, e l’angolo di Robi, a ricordare un caro amico scomparso.
C’erano le auto e moto d’epoca, le signorine con outfit retrò, la musica dal vivo. E c’era la “famiglia Carube” al gran completo, coi parenti dell’Eroica, il Brocci e Franco, che non hanno bisogno di presentazioni.
C’erano anche le acciughe di Cristina, senza le quali, che Vinaria sarebbe?
C’erano tutti gli amici della Vinaria, vecchi e nuovi, ed era bello e rassicurante, proprio come un ritrovo famigliare.
Quest’anno però c’erano anche tante novità che hanno dato a questa edizione, la sesta, un tocco inedito e sorprendente.
Un tocco di green in queste montagne verdi.
Infatti su questo tuffo nel passato in cui tutto è perfettamente intonato e dedicato al tempo che fu, il giorno prima, sabato, è passata una rinfrescante ventata di futuro, che ha aggiunto a tutto il verde che circonda Lucca, anche la sfumatura green della sostenibilità. E in quel fascino irresistibile di una scenografia d’antan, sono comparse delle biciclette elettriche nuove fiammanti, offerte da Enel, per una pedalata in tutto relax verso le centrali elettriche della zona. Prima tappa Pian della Rocca, nel comune di Borgo a Mozzano, dove la centrale è stata recentemente ristrutturata, in prossimità della diga, e infine un veloce passaggio da quella storica di Vinchiana. C’era il sole ma l’aria era fresca, l’atmosfera allegra e leggera, priva della classica fatica che contraddistingue La Vinaria, e che era in agguato per il giorno dopo. Anche il pranzo, che si è svolto alla sagra all’Arca di Noè aveva un che di inedito. Infatti quello è uno dei ristori de La Vinaria a cui solitamente si arriva sfranti e suonati come pugili e invece, quel giorno eravamo tutti freschi (oddio freschi è un parolone date le temperature). E abbiamo comunque fatto onore al cibo, visto che il cervello, come in un riflesso condizionato, registra l’informazione “hai pedalato” mentre non è evidentemente progettato per tarare la fame su quella “avevi l’assistenza elettrica”.
Scodelle di caffelatte come una volta
Scodelle grandi come zuppiere piene di caffellatte dolce e caldo in cui intingere brioches e torte. Cosi ci accoglie, a sorpresa, il piazzale del mercato di Marlia la mattina di domenica al sorgere del sole. Una colazione antica e rassicurante, un risveglio morbido.
Cosa che non si può dire dei percorsi in sella: bellissimi, sontuosi, sfidanti, allegri. Ma morbidi, no.
L’aria si riempie di suoni nuovi.
E nella luce del sole che piano illumina le vecchie auto, i side-car e i loro occupanti dai look impeccabili, le nostre vecchie – alcune vecchissime – bici colorate e arrugginite, i caschetti di cuoio, le braghe di tela, le maglie di lana ricamate, le barbe, i favoriti, gli occhialoni e le treccine, ci rendiamo conto di un’altra novità: l’aria, come al solito satura delle “c” aspirate della parlata toscana, pastosa e densa come un bicchiere di chianti, si colora di timbri inaspettati: le doppie mancanti dei veneti, o le E troppo aperte dei lombardi, si rincorrono nella grande piazza, e si mischiano al ronzio delle catene, e si arricchiscono a sorpresa di alcune consonanti teutoniche, dure come spari, di qualche erre anglofona che rotola via, liscia come palmer e di quelle francesi che mettono allegria. È ufficiale: la Vinaria non è più solo un evento locale.
La fatica resta quella, niente sorprese.
E quando partiamo, accompagnati come da rito dalla voce baritonale di Carube che, come da rito, ci urla “andate piano” siamo consapevoli di quello che ci aspetta, e in questo caso, niente sorprese.
La fatica costante, interrotta solo dai ristori, che appaiono come miraggi colorati e allegri, di cibo, musica, bellezza, di prati e case antiche.
Il paesaggio, aspro e bellissimo, maestoso e lussureggiante, impervio. Ostile e amico allo stesso tempo.
Strade, sterrate e pietrose a volte in piedi a volte a precipizio davanti ai nostri occhi sudati e alle nostre gambe di legno, come quelle di Pinocchio che celebreremo al Quercione, dove, narra la favola, il bambino-burattino seppellì il denaro. Questo però solo sul percorso lungo, quello di 80 chilometri circa.
E se 80 chilometri vi sembrano pochi, per un percorso lungo, provateci voi a farli, con queste pendenze, queste pietre, che rotolano, scivolano e si spostano sotto il l’equilibrio instabile delle vostre rotine sottili, sotto questo sole che nelle ore centrali della giornata è ancora senza pietà. Io l’ho fatto, la prima volta con l’incoscienza dei principianti e la seconda, con l’incoscienza e basta. E da allora mi dichiaro da subito sul percorso corto, di circa 50 chilometri e mi godo il paesaggio, i ristori, e anche la fatica, perché so che finirà prima. Anche se ogni volta vedo la Madonna, che puntualmente e non a caso ti appare a Matraia, in cima a una salita che solo lì potevano metterla.
Di ristoro in ristoro, (in ristoro) si torna a Marlia, di sicuro più “ristorati” che stanchi, per i festeggiamenti finali, il pasta party e i vari premi molto “agonistici”, come quello alla squadra più numerosa o al ciclista meno pesante e quello meno leggero. Ingaggio una breve rissa con Carube che mi propone di partecipare a quest’ultimo dicendo che forse, magari, posso essere competitiva per… Ripercorro mentalmente i ristori a cui mi sono fermata (troppo) a lungo e penso che in effetti. Comincio quindi in quel preciso momento una dieta “respiriana”, nella quale appunto di “mangia” solo aria, ma poco condita.
E con Carube non parlo più. Almeno fino alla prossima Vinaria.