L’anello dei Colli Euganei in punta di pedali:
la vendemmia tra sacro e profano. Che sia il giallo paglierino del Fior d’Arancio o il rosso generoso e fruttato del Merlot poco importa. La strada che da Vo c Euganeo conduce all’abbazia di Praglia è tutta cantine. Visitare il parco regionale dei Colli Euganei nel mese della vendemmia è trovarsi nel posto giusto al momento giusto, tra i carri allegorici e feste dell’uva, botti piene e vini frutto del lavoro monastico.
Protagonista incontrastato di questo secondo tratto della ciclovia padovana è il paesaggio rurale. Dal castello di Valbona a Bastia di Rovolon i campi di granoturco si alternano ai vitigni. La pista ciclabile è immersa nei profumi di mosto. Ad abitare questi argini in apparenza solo farfalle bianche.
Da queste parti i vignaioli si tramandano esperienze enoiche di generazione in generazione. La produzione dei vini autoctoni è cresciuta e si è modificata con nuovi innesti. A queste terre appartengono, dal 1870, i primi vigneti italiani di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc e le uve moscato giallo che dal terreno argilloso e calcareo sprigionano la loro dolcezza. Una lista esauriente di aziende vitivinicole dove degustare e assaporare questi luoghi si trova nel sito del parco regionale.
L’itinerario prosegue quindi incrociando la Strada del Vino, che offre al cicloturista una gamma di agriturismi ed enoteche per scoprire la semplicità buontempona dell’enogastronomia padovana.
Superata Bastia di Rovolon vi aspetta la parte più tosta della pedalata. Nulla di impegnativo per i ciclisti allenati, ma per raggiungere l’abbazia di Praglia c’è un breve tratto dove farete bene a cambiare marcia. La via è per lo più in asfalto, a singhiozzi sterrata. Se in alcuni tratti vi sembrerà di aver perso la rotta non disperate: quando la segnaletica inganna – attenzione in località Bresseo – c’è sempre il GPS.
All’abbazia di Praglia è un po’ come trovarsi catapultati nelle stanze del romanzo più noto di Umberto Eco, Il nome della rosa. È un monastero benedettino scandito dalle regole di una vita ritirata. Chi vi abita si chiama confratello. A farne parte sono oggi 45 monaci dediti alla preghiera, sette volte al giorno, e al lavoro, intellettuale o manuale. Le dita dei monaci amanuensi sfogliano testi antichi, rimessi a nuovo nel laboratorio di restauro. Poi c’è chi pensa a curare l’ospitalità nella foresteria, a coltivare le erbe officinali per tisane e infusi, ad allevare api per il miele e i prodotti cosmetici. Sorprende vedere il tutto venduto anche online, ma la modernità non risparmia proprio nessuno.
Se durante l’anno non tutti si prendono cura dei 10 ettari di vitigno, durante la vendemmia c’è bisogno di tutte le braccia e la comunità, anche in questi luoghi sacri, si riunisce attorno all’uva. Garganega, friularo e moscato vengono qui imbottigliati con nomi evocativi: c’è il decanus, l’hora prima, il vino da messa e il claustrum.
La visita merita i 40 minuti di sosta. I monaci vi racconteranno la storia di un piccolo monastero medievale andato distrutto. La rinascita nel 1408, per volere dell’abate di Santa Giustina. E infine la ricostruzione, tra il 1460 e il 1550, mentre a ricordare il complesso originario resta solo la torre campanaria. Vi aspetta la visita dei quattro chiostri, del refettorio monumentale e della sala delle “decisioni importanti” – la sala del capitolo -. Tra arte e semiologia, salendo le scale si raggiungono la loggetta belvedere e la biblioteca monumentale, a cui Antonio Fogazzaro lasciò le letture di una vita. Dopo aver ambientato proprio in questi luoghi una scena del suo Piccolo mondo moderno, il tributo dei benedettini allo scrittore vicentino sta nel nome della terrazza panoramica, a lui rinominata.
L’itinerario del parco regionale si conclude attraversando Abano e Montegrotto Terme, le mete per un meritato bagno termale, dopo i 70 chilometri in punta di pedali.
Informazioni: visitabanomontegrotto
Silvia Ricciardi