Lombardia: pedalando in Graziella lungo le vie d’acqua giorno 2

Prosegue la mia pedalata in Graziella lungo i canali e i fiumi lombardi, dopo la prima tappa da Milano a Crema, riparto verso Cornogiovine.

Giorno 2: Crema – Cornogiovine

Mi aspettavo una mattina splendente come quella di ieri ed invece le nuvole coprono il pallido sole che tenta faticosamente di farsi vedere, ma finché non piove tutto va bene e mi dirigo verso il famoso Santuario di Santa Maria della Croce, ci vuole anche per un po’ di cultura nel viaggio, non si vive di sola bicicletta! Situata poco distante dal centro città, la basilica è sorprendentemente bella, dapprima mi affascina con l’imponente struttura in cotto e le cupole azzurrine, poi rapisce il mio sguardo con i magnifici affreschi al suo interno, nemmeno un centimetro delle pareti è stato lasciato libero!

Arriva l’ora di riprendere a pedalare, ritrovare il canale Vacchelli è un gioco da ragazzi l’obiettivo è arrivare a Cremona prima di pranzo. L’impresa non è facile, anche perché il fondo dell’alzaia è coperto da uno spesso strato di foglie che nascondono insidiose radici. Il viaggio è un sobbalzare continuo, gli slalom tra i sassi non si contano e ogni tanto rivolgo una preghiera d’indulgenza ciclistica verso i capitelli che compaiono ai bordi dell’alzaia. Io e Katia non meritiamo tutto questo sterrato, Amen.

Dopo una quindicina di chilometri raggiungo un’area denominata Tombe Morte, nel territorio di Genivolta.

Tombe Morte è un capolavoro di ingegneria idraulica, in questa piccola località si incrociano tre importante canali, il “mio” Vacchelli, il Naviglio Grande Pallavicino e il Naviglio Civico di Cremona.

Sembra un grande snodo autostradale in formato idraulico, ci sono canali ovunque, canali che passano sotto, scolmatori che passano sopra, ponti-canali, chiuse d’ogni tipo che sbarrano o consentono il passaggio dell’acqua in altri corsi più piccoli, insomma, la massima espressione della mia Via dell’Acqua! Il labirintico sistema di canali rende difficile la scelta del giusto corso d’acqua da seguire, ma in mio aiuto accorrono degli utilissimi cartelli che indicano le varie ciclabili che si incrociano alle Tombe Morte: la via delle città murate, la ciclabile Vacchelli e quella dei Navigli.

Per arrivare a Cremona devo seguire il Naviglio Civico e così lascio alle mie spalle ettolitri ed ettolitri d’acqua, dirigendomi in direzione sud-est. La qualità del fondo dell’alzaia migliora sensibilmente, la ghiaia e i sassi vengono sostituiti dall’asfalto, non esattamente ben conservato, ma almeno il rischio spaccare un ulteriore raggio diminuisce di molto. Il tempo è ancora leggermente nuvoloso ma sembra che il sole avrà la meglio, ancora un’oretta e forse la Via dell’Acqua splenderà nuovamente.

Nonostante la solitudine del posto incrocio della gente a passeggio e ne approfitto per chiedere delle informazioni sui negozi di biciclette nella zona. Fortunatamente ce n’è uno giusto nel prossimo paese, Casalmorano, situato in posizione un po’ più defilata rispetto al naviglio. Il negozio sembra famoso nella zona, perché anche una seconda persona me lo indica ed io sfreccio verso l’officina.

Vista da fuori si capisce che è una di quelle officine artigianali, costruite e mandate avanti con passione, non tanto con i soldi come quelle gigantesche dei centri commerciali per sportivi. Sulle pareti sono appese le foto del proprietario e dei suoi colleghi ciclisti sui mitici passi italiani, c’è il Mortirolo e a fianco anche il Gavia, sono proprio capitato nel posto giusto! Enrico, il proprietario, è di una gentilezza disarmante, appena sa del mio problema lascia la bicicletta sulla quale stava lavorando e si mette a riparare la mia ruota, ma prima vuole sapere tutto riguardo le mie cicloperipezie. Una bicicletta non bisogna solo ripararla, lui la tratta con gentilezza e la coccola, e in velocità record ripara il raggio.

Al momento di pagare mi congeda con un “vai vai, non bisogna fermarsi alle curve di un viaggio!”, poi mi lascia con suo figlio, che mi scorta fino alla ciclabile del naviglio civico. Persone così rendono le giornate più luminose, e casualmente anche il sole ricomincia a brillare forte nel cielo, scacciando definitivamente le nuvole.

Il viaggio in Lombardia in bici prosegue nella consueta tranquillità della campagna cremonese, ogni tanto qualche bella casa si affaccia sul naviglio ma in prevalenza è il nulla che mi circonda, ormai nemmeno gli alberi accompagnano le sponde del canale.

Arrivo a Casalbuttano giusto in tempo per uno spuntino sotto la grande chiesa. Dopo Casalbuttano il naviglio vira decisamente più a sud, ormai non sono distante da Cremona, c’è da macinare solo qualche chilometro di infinito rettilineo.

Improvvisamente una cascina particolare spunta dalla piatta campagna circostante. Ma è una cascina o… un castello? La larga facciata è merlata, ai lati si ergono due torrette mentre al centro svetta un torrione più alto e dall’aspetto principesco, che rende ancor più regale il grande portone d’entrata a sesto acuto. Mi avvicino incuriosito, non sapevo che si trovasse una specie di castello qua intorno: sul portone si notano le iniziali CM e il tutto sembra essere stato ristrutturato di recente. Per il resto nulla, nemmeno un cartello informativo sulla località o sul castello, tanto da farmi pensare che si tratti di una patacca nuova e per niente originale. Lascio il castello con tutti questi dubbi in testa ed in lontananza vedo avvicinarsi una ragazza in bicicletta: qualche pedalata e la raggiungo, devo assolutamente sapere come si chiama il castello.

La cascina fortificata, ecco quello che effettivamente è, si chiama Cascina Mancapane, ed è di proprietà nientepopodimeno che del mitico Antonio Cabrini, celebre giocatore della Juventus e della nazionale, che lì vi è pure nato. La fortificazione romantico-castellana è un’aggiunta del XIX secolo e non è l’unico esempio della campagna circostante. Insomma, Cabrini è passato da campione del mondo a principe di un castello!

L’alzaia, invece che migliorare con il progressivo avvicinarsi a Cremona, peggiora sensibilmente, ed eccomi di nuovo a percorrere sentierini coperti di fogliame.

L’ingresso a Cremona avviene attraverso i quartieri nord, progressivamente il numero delle case aumenta fino ad arrivare al caos generale nella zona della stazione. E’ l’ora dell’uscita da scuola di centinaia di studenti, che invadono disordinatamente le strade della città per recarsi verso le fermate dei bus. Mi posizione di fronte alla stazione aspettando che il flusso di studenti abbia termine, a fianco di un enorme monumento d’acciaio dedicato al violino, che mi allieta con dolci melodie registrate: Cremona è la città del violino e dei liutai, tra i quali il più famoso è certamente il leggendario Stradivari.

Non appena il numero degli studenti sulle strade comincia a diminuire mi dirigo verso il centro città. I negozi di liuteria si intervallano regolarmente ai bei palazzi antichi che si affacciano sui corsi principali, alcuni dei quali riservano delle sorprese, come una corte loggiata interamente affrescata e semi abbandonata, relegata a semplice parcheggio per biciclette.

Non essendo mai stato a Cremona la piazza centrale mi lascia di stucco: la cattedrale di Santa Maria Assunta è imponente, la bianca ed estesa facciata romanica è un capolavoro armonico, sorretta da un lungo loggiato sotto il quale gli studenti di una gita consumano il pranzo, mentre su tutto svetta il Torrazzo, il campanile simbolo della città, che già avevo individuato qualche chilometro prima di arrivare a Cremona: completano l’eleganza della piazza il battistero e il palazzo del comune, che sovrasta il medievale cortile Federico II.

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Purtroppo in ora di pranzo non si può nè entrare nella cattedrale nè salire sul Torrazzo, peccato avrei avuto voglia di vedere dall’alto il Po e la pianura appena attraversata. Purtroppo la visita della città non può essere più approfondita, il viaggio deve continuare, ma ritornerò certamente a Cremona, magari per la festa del torrone!

Il prossimo corso d’acqua da seguire è nientedimeno che Lui, il grande fiume della Pianura Padana, il Po.

Ogni volta che lo attraverso è come passare il confine di uno stato, dall’altra parte cambiano accenti, modi di fare, sapori e mi sembra pure che faccia anche più caldo! Questa volta me ne rimango nella sponda lombarda, dalla quale ammiro, nella posizione rialzata sopra l’attracco fluviale, la grandezza del fiume (anche se, data la stagione, manca un po’ d’acqua alla sua portata), i numerosi club di canottaggio ed il lungo ponte ferroviario di ferro. Con Cremona ho toccato il punto più ad est del mio viaggio, ora è tempo di cambiare direzione e seguire il Po a monte, verso ovest. Per farlo, seguo il percorso PO01 del sito della regione Lombardia, che dovrebbe ricalcare parte del progetto VenTo, la ciclabile del Po che da Torino porta a Venezia. Dopo aver percorso la bella pista ciclopedonale lungo il Po, passo nella zona industriale di Cremona, affianco prima i grandi edifici della Tamoil e poi supero il canale che conduce verso il porto della città, circondato da acciaierie e capannoni.

Contrariamente da quanto pensavo, il Po non lo seguo da vicino, anzi, a volte non lo vedo neppure. Io e Katia ci ritroviamo a pedalare lungo un altro canale, parallelo al grande fiume, il canale Cremona – Milano, dritto, lungo ed infinito. Comincio ad averne abbastanza dei canali, voglio un vero fiume adesso! Il mio desiderio viene in parte esaudito, le indicazioni della ciclabile mi allontanano dal canale per portarmi verso le stradine di campagna rinchiuse tra le anse del Po. Dando un’occhiata alla mappa, dall’alto il Po sembra un grande serpente mezzo attorcigliato, pieno di curve, io mi trovo proprio in un’ansa adesso… anzi no… oddio… sono intrappolato!

L’Adda mi sbarra il passaggio ad ovest, il Po mi avvolge a sud e ad ovest, mentre il canale mi chiude la strada a nord, sono circondato dall’acqua! Non mi resta che una via d’uscita per salvarmi da questa trappola idrografica, raggiungere Crotta d’Adda, primo paesino con un ponte sull’Adda, che da li a poco si immetterà nel Po. Non capisco più che strade alzaie io stia seguendo, se quelle del Po o dell’Adda, ma non importa, le direzioni da prendere non sono molte. La zona è il non plus ultra della tranquillità e del silenzio, il tempo qui sembra essersi fermato a cent’anni fa, le uniche costruzioni umane che noto sono solo delle vecchie cascine cadute in rovina e un paio di piccole aziende agricole, qua è la natura vince con migliaia di uccelli, branchi di nutrie (si, branchi!!), boschi e pioppeti.

Arrivo nella piccola Crotta d’Adda e il benvenuto me lo da una scritta che giganteggia sulla parete di una casa “È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”. Firmato Benito Mussolini. Oddio, che a Crotta d’Adda si sia fondata una minuscola RSI che tutt’ora resiste ad ogni influenza esterna?? Il tempo qua si è proprio fermato! Decido di lasciare temporaneamente il percorso prefissato e di risalire il corso dell’Adda per raggiungere

Pizzighettone, famosa città murata di origine etrusca: ci sono anche storici che localizzano in Pizzighettone la mitica Atlantide.

Devo per forza vederla con i miei occhi questa Atlantide padana, magari potrò avvistare anche i mitologici lago Gerundo ed il grande drago Tarantasio.

Cambio fiume ma il paesaggio intorno a me non cambia di una virgola, incontro solo più vacche e ad un certo punto sono pure costretto a pedalare in mezzo ad un’azienda agricola, salutato dal muggito di decine di mucche: l’argine dell’Adda è asfaltato e ben tenuto, e il viaggio verso la cittadina fila liscio che è un piacere.

Per entrare a Pizzighettone bisogna far breccia nelle mura che la circondano, ma purtroppo qualcuno l’ha già fatto malamente anni fa, visto che per far passare la strada le mura sono state sventrate in malo modo; magari una volta esisteva un’elegante porta d’entrata, ora non più. All’interno delle mura Pizzighettone assume le sembianze di un piccolo borgo medievale, con una grande piazza centrale, la bella chiesa romanica di San Bassiano, il corso principale e la massiccia torre del Guado, che si specchia romanticamente sull’Adda. Mi piacerebbe entrare in una delle casematte delle mura, di una riesco pure a intravederne l’interno, ma il tempo è tiranno e sono costretto a salutare il paesino dopo una breve visita della “gemella” Gera, situata dall’altra parte del fiume: peccato essersi persi anche la fiera del “fasulin de l’òc con le cudeghe”, terminata il 6 novembre, dev’essere un’epica esperienza gastronomica!

Veduta aerea di Pizzighettone

Questa notte la passerò in tenda, così che non importa dove dormirò, ma mi propongo come obiettivo finale di tappa il villaggio di Cornovecchio o di Corno Giovine. Riprendo a pedalare lungo l’Adda, sulla sponda destra questa volta, decisamente meno ben tenuta rispetto a quella sinistra, mentre il sole comincia a scendere e a colorarsi di rosso. Invece di recarmi verso il Po, affido di nuovo la mia Katia alle alzaie dei canali, seguendo il percorso LO08, indicato come percorso dei colatori “Ancona-Mortizza-Allacciante-Gandiolo”.

Raggiungo rapidamente Cornovecchio e mi guardo attorno per vedere se c’è qualche posto dove piantare la tenda, ma il paese è piccolo e non c’è nemmeno un’alimentari dove rifornirmi di cibo. Decido di bussare alla porta del Signore e chiedere ospitalità al parroco locale, ma in chiesa non c’è anima viva. Una signora mi informa che in effetti non c’è neanche un parroco a Cornovecchio, quello semmai è a Corno Giovine, e allora decido di dirigermi verso quel paese, tanto c’è ancora luce e la distanza che mi separa da lì è di soli quattro chilometri. Si vede che il percorso dei colatori non è molto frequentato, in questo settore mi ricorda il sentiero che seguiva l’Adda nel primo giorno, pieno di foglie e radici, ma ormai ci sto facendo l’abitudine.

Corno Giovane è più grande di Cornovecchio, ci sono un paio di parrucchieri, l’alimentari, la scuola, il municipio, qualche bar, una pizzeria e, ovviamente, la chiesa. È li che mi dirigo direttamente, magari un posticino al sicuro dove mettere la tenda, al riparo dell’umidità della pianura, o una stanza in parrocchia ci sarà. Il parroco, però, non ne vuole sapere, spazio non ce n’è e mi fa capire che non sono proprio il benvenuto. Mah, sono così spaventoso? Dovrò rivedere il mio look… Mi consolo con un mega panino nella piazzetta del municipio e cerco di capire dove trovare un posticino isolato dove mettere la tenda. Vedo passare anche la macchina della sicurezza stradale, speriamo non mi facciano sloggiare nel bel mezzo della notte, comincia a fare veramente freddo e non sarebbe bello cercarsi un altro posto nel bel mezzo della nebbia.

Per riscaldarmi le ossa vado a bere un cappuccino al bar, e un po’ per conoscere la gente locale e un po’ per informarmi su dove dormire, chiedo ad alta voce alla cameriera se conosce qualche posto dove poter piantare la tenda. La domanda richiama ovviamente l’attenzione di tutti gli altri clienti, che partecipano alla risposta appassionatamente, così che cominciano a piovere informazioni. Ci sono il campo sportivo, la parrocchia, il parco, ma sono tutti troppo esposti, uno di loro chiama addirittura il vigile locale per avvisarlo sul fatto che qualcuno avrebbe dormito in tenda in paese e quindi di non allarmarsi, ed infine si trova la soluzione: dormirò dietro la casa di uno dei clienti, Giancarlo, che mi ci accompagna subito. Giancarlo è un ex ciclista e con lui mi intendo subito sin dall’inizio. Dopo aver picchettato la mia casetta trasportabile vengo invitato a casa sua per una doccia calda, lo sa bene quanto la doccia possa essere la salvezza psicologica per un ciclista! Gianluca è proprio gentile e alla fine mi invita anche a cenare a casa, una tazza gigante di latte caldo con i biscotti mi scaldano lo stomaco, mentre le chiacchiere con lui rinfrancano lo spirito. Fino ad adesso sono stato fortunato in questo viaggio, ho conosciuto gente molto disponibile e dal cuore d’oro. Purtroppo Giancarlo deve andarsene, avrei volentieri parlato con lui ancora un po’, e alle nove e un quarto mi ritrovo già chiuso in tenda. Non mi resta che dormire, non c’è molto da fare a Corno Giovine la sera, meglio così, magari riesco a recuperare le forze perdute in questa giornata di bicicletta. Mi stringo nel mio sacco a pelo e nelle due coperte prestatami da Giancarlo, la notte si preannuncia lunga e fredda, speriamo di non finire come l’uomo di Similaun!

Reportage di Francesco

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Per conoscere la Graziella

giordano roverato: Appassionato di bicicletta, vita all'aria aperta e comunicazione digitale