Cosa troverai in questo articolo:
La meta è sempre più vicina, dopo la tappa Menfi, Mazara del Vallo, giorno 14 della Magnaborbonica, oggi è il
Penultimo giorno della #MagnaBorbonica;
da Mazara del Vallo a Isola delle Femmine, passando per Trapani
Il risveglio
Dopo tante notti di terreno e materassini sottili, l’alba di oggi ci trova finalmente riposati: un lettino da spiaggia può diventare una suite di un cinque stelle, a seconda del contesto dal quale si viene. A svegliarci è la voce di Agnese, alla quale hanno chiesto di lasciare i posti liberi in vista dei primi bagnanti della giornata, verso le sette e mezza. Ci uniamo a loro per un tuffo di buongiorno, nelle acque chiare e quasi annebbiate dal mattino.
Ci si prepara a un altro giorno bianco di caldo. Dopo i bagordi dionisiaci di ieri sera, il Lido Marakaibo sembra un altro posto, tranquillo, apollineo, regolare. Sfruttiamo ancora la gentilezza e le docce del lido prima di ripartire. Vecchi pescatori affollano già il bar, coi loro racconti e la loro voglia di raccontarci la loro terra. Appena fuori dal chiosco, un trattore si ferma sulla sabbia col motore acceso, e gli operai alla guida ne scendono per fare colazione, lasciandolo in mezzo alla carreggiata. Un’automobile inizia a suonare, ne nasce una discussione. Le voci si alzano, si leva alto un “ti scippu ‘l cirvellu!”. Ma prima ancora che riusciamo ad allarmarci, i protagonisti dell’alterco stanno bevendo caffè assieme, scherzando. Trattore e macchina sono rimasti lì, accesi.
Ci incamminiamo a passo lento, tanto ormai la strada è tutta pianeggiante e il ritmo del traffico lo fanno i greggi di pecore. E quando c’è un gregge di pecore, non esiste clackson o fretta che tenga, si aspetta e si schiva lo sterco, non ci sono santi.
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Arriviamo a Marsala al momento sbagliato,
quello della seconda colazione: il Porto di Ali (dall’arabo Marsa ʿAlī), originario porto fenicio, poi romano, arabo e spagnolo si sta infatti svegliando, mentre le sue rinomate cantine sono ancora chiuse e noi dobbiamo continuare. Un cippo di pietra ricorda quattro diverse identità storiche di cui fu teatro questo porto: la Terza Guerra Punica, Capo Lilybeo, lo Sbarco dei Mille di Garibaldi e la Strage di Ustica.
Proseguiamo, e il rosa ci inonda: Trapani non ha salite, soltanto saline.
Immense distese quadrate, delimitate da muretti a secco, fanno da contorno al mare e alle isolette costiere, evidenziando con infinite sfumature di colore lo stato di evaporazione dell’acqua salata. Qua e là, vecchi mulini in muratura ricordano le isole greche. Qui il vento è implacabile. Di fronte a noi, la riserva dell’isola di Mozia, vero paradiso incontaminato e protetto dalle sue barriere di sale. Massimo ci ha chiamato, ha dormito qui la notte scorsa. Vicino alla spiaggia, famigliole e anziani si immergono nelle acque basse e trasparenti. Il rosa continua ad accompagnare la nostra pedalata.
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All’ingresso della città, il porto di Trapani ci tenta coi suoi cartelli:
gli imbarchi per Tunisi e Susa sono le ennesime chimere che cercano di deviare il nostro corso per lidi esotici, come era stato per Malta giorni fa. Ma non è questo il momento, non ancora. Un ottimo surrogato di Tunisia però ce lo dà il pranzo: Dar El Medina è una trattoria gestita da maghrebini che hanno cambiato sponda del Mediterraneo, dove finalmente troviamo l’agognato couscous di pesce, oltre a una varietà di piatti africani di pesce e spezie, dal brick alle fritture. La cofana sacrificale viene servita integra, da dividere tra i più svelti, con tanto di scodella di brodetto di pesce e cozze a parte. Così, per ravvivare un po’ il cous cous tra un boccone e l’altro.
La semola cresce nell’esofago e nello stomaco. È l’apoteosi.
I sapori del Nord Africa ci invadono il palato,
e la ciucca a base di malvasia e zibibbo arriva puntuale e implacabile, aiutata anche dal caldo. Ci appiattiamo sul tavolo, finiti dal digestivo, un nero d’Avola alla mandorla. Il cuoco sorride compiaciuto: abbiamo onorato la sua cucina. Giancarlo sorride ancor più compiaciuto: era già stato qui l’anno scorso, ed era ansioso di condividere con noi cotanta grazia.
Siamo al penultimo giorno di viaggio,
purtroppo la discesa (o risalita, a seconda dei punti di vista) è iniziata già da un po’, ma tutto è così intenso da non lasciarci il tempo di rendercene conto. Fatto sta che i rallentamenti sulla tabella di marcia hanno reso necessario tagliare alcune tappe, e noi, avidi fino in fondo, abbiamo evitato il problema fino alla fine, e ora dobbiamo lasciare fuori dal nostro itinerario delle perle come Erice o la Riserva dello Zingaro.
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Ci concediamo un giro per gli antichi vicoli di Trapani,
per le sue vie che ne fanno una sorta di Alguer siculo-araba, e finalmente rotoliamo verso la stazione dei treni, saturi di cernia e couscous. Il treno per Piraineto, poco dopo Alcamo, è una vecchia motrice a gasolio composta da quattro carrozze. Memori della semiintossicazione sulla tratta Iglesias – Cagliari, scegliamo quelle anteriori, infestando il locale col nostro odore acre di ciclisti provati dal sole. Effluvi estivi nello scompartimento.
Chi è stato?
Iddu!
Piero dorme beffardo.
Nello sdegno e sconcerto dei passeggeri normali, ci scambiamo i posti di continuo, come se giocassimo ai quattro cantoni. Stupidi e fieri di esserlo. O solo ebbri di viaggio: quando si è nomadi, le convenzioni sociali cadono. Al grido di “Siamo cialtroni, veniamo in pace!” facciamo i nostri ingressi per gli affollati paesi costieri prima di Mondello. Sguardi sbigottiti, i più coraggiosi ricambiano il saluto a suon di trombette. Passiamo per Capaci, a pochi metri da quella lapide di marmo che ricorda il posto in cui un brutto giorno di inizio Anni Novanta una carica esplosiva fece saltare in aria il Magistrato Giovanni Falcone e la sua scorta. Un’unica, eloquente scritta sui muri spogli vicino all’autostrada: “Mafia merda”.
Arriviamo infine al camping “La playa”, nei pressi di Isola delle Femmine.
Ai nostri scherzi l’imperturbabile signora alla reception non mostra segni di cedimento, al punto che la scambiamo per un automa. Né divertimento, né compassione, né sdegno: ci sentiamo poco considerati.
Il lungomare di Isola delle Femmine offre poche alternative al nostro stile di viaggio: lidi affollati di adolescenti chiassosi, despaciti a oltranza, nessun alimentari per comprare cibo normale. E nel frattempo mi porto appresso da due giorni un chilo e mezzo di cipolle king size. Estenuati dall’atmosfera festaiola convenzionale, ci buttiamo nel primo lido con forno a legna, e ripieghiamo su una pizza margherita e una quantità spropositata di birra. Le sedie di plastica sono tutte occupate, la gente vuole vedere lo spettacolo di drag queen: uno spettacolo che sfocia in cabaret da bagaglino. Battute volgari e scontate, canzoni mimate in playback e costumi sfarzosi. Brividi lungo la schiena: e se ci tirassero in ballo come reagiremmo? Preferiamo la tanatosi, e un basso profilo. Nel frattempo ci godiamo il paradosso dell’essere arrivati a Isola delle Femmine per assistere a uno spettacolo di trans. Mai fidarsi dei toponimi.
Notte stellata, buona come vigilia di un arrivo breve e trionfale.
Reportage di Claudio Mancini
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