i ragazzi si concedono un meritato giorno di riposo a Mytikas
Mytikas e la taverna Stathoulas, gestita dall’affabile signora divenuta ormai nostra amica, è un po’ come l’isola Ogigia di Calipso: annullando la nostra volontà e ogni pallido impeto verso una ripartenza, il paesino di pescatori ci trattiene qui con un ammasso di indolenza e torpore, avvolgendoci in una nube calda in cui il canto estenuante delle cicale si prende gioco del richiamo della Strada.
E così, dall’idea originaria di recuperare i 30 chilometri non fatti nella tappa precedente (da programma ci saremmo dovuti fermare ad Astakos, più giù) in bici, a quella di coprirli in autobus e proseguire la tappa verso Antirrio in tempo, ci ritroviamo come nella Zona del Crepuscolo di Dylan Dog a girare sempre gli stessi vicoli, tornare a pranzo alla stessa taverna, osservare le stesse barche di pescatori portare il pesce fresco, i cui avanzi vengono contesi dai gatti in attesa sul molo. Insomma, una vitaccia.
Il sonno inoltre si fa sentire per la prima volta nel nostro viaggio, e dopo più di dieci giorni (quanti sono? Ho perso il conto) a dormire tra le due e le quattro ore, ci coglie nell’afa densa di nubi del dopopranzo, aiutato anche dalla potenza sugnosa dei fritti e dal vino ghiacciato.
Ci accasciamo sulle sedie del bar del campeggio lasciato la mattina stessa coi migliori propositi: aspettiamo che il bucato si asciughi e ripartiamo per le cinque, facciamo un po’ di km e ci fermiamo – questa l’ultima versione dei nostri piani.
Tutto inutile.
Arriva l’oblio, il mal di testa ci porta in un universo parallelo fatto di vacanze immobili, tutte nello stesso posto, un mondo assolutamente normale in cui non si trova casa propria ogni volta in un luogo diverso.
L’indolenza trionfa: restiamo qui anche stanotte, e ci prendiamo il primo dei giorni senza pedalare da quando siamo partiti.
Timide gocce di pioggia suggellano l’accordo con Mytikas: noi rimaniamo, la città smorza un po’ la pressione e il clima pesante. Non ci resta che disfare i bagagli, rimontare le tende e tuffarci ancora una volta nelle acque chiuse dai monti di Kalamos, isola di fronte a noi.
Io e Fiorella nuotiamo verso una goletta ormeggiata nella rada: è di un signore americano, sulla sessantina, fisico pieno ma ancora atletico, piglio tranquillo, sobrio e distinto.
E’ un ricercatore di biochimica in California, vive a Patrasso e aspetta un amico per raggiungere l’altro lato dell’isola. Una vitaccia, pure lui. Passiamo qualche minuto a parlare con lui, noi immersi nell’acqua, lui sul ponte del suo piccolo vascello verde.
La sera, decidiamo di moderarci: passeggiata per il paese, un amaro e a letto presto. Maria, la ragazza tedesca del camping Ionion, nel vederci fare tante false partenze si mette a ridere. A volte va così, bisogna sapersi fermare. E trovare ancora una volta un posto da chiamare casa, fosse anche per ben due notti.
Reportage di Claudio Mancini