Pedala tenace, macinando chilometri in situazioni estreme. Sfida pioggia, vento, strade impervie, infortuni, maschilismo strisciante, ma soprattutto se stessa. L’estate di Paola Gianotti, ultracycler 34enne di Ivrea, è un brivido lungo 9mila chilometri, da Mosca a Vladivostok.
L’avevamo lasciata dopo un giro dei cinque continenti: 22 Paesi in 144 giorni, 29mila chilometri e 145mila metri di dislivello. In quell’esperienza è risalita fino alla sorgente di se stessa. È sgorgato Sognando l’infinito (Piemme Edizioni), un libro in cui racconta le emozioni della sua pedalata per il mondo in solitaria.
Ora ha attraversato la Russia in 15 tappe, partecipando a una competizione, la Trans-Siberian Extreme, che è un’impresa eroica. Lei era l’unica donna in gara, e ha condiviso l’esperienza con il ciclista estremo Paolo Aste, suo compagno di squadra e di staffetta.
Com’è nata questa nuova avventura lungo la mitica Transiberiana?
Concluso il giro del mondo mi sono data il tempo di pensare e di raccontare in un libro come ho deciso di seguire i miei sogni. Poi ho visto che nasceva questa gara, una nuova sfida estrema, e ho deciso di partecipare con Paolo Aste, ultracycler che mi aveva dato ottimi consigli per prepararmi al giro del mondo. La Trans-Siberian Extreme era l’occasione per conoscere una zona mai visitata prima, che non avevo toccato nel mio viaggio. Così, il sogno di percorre in treno la Transiberiana, si è trasformato in una nuova impresa in bicicletta.
Questa volta però la sfida non era solo contro te stessa…
Già. In una competizione non si vive il senso di solitudine, ma il confronto con gli altri concorrenti e contro il tempo. È stata più impegnativa mentalmente e fisicamente. Mi sono allenata molto per raggiungere un ritmo più alto, lavorando di potenza e di velocità per stare dietro a un gruppo maschile.
Come hai vissuto la tua femminilità attorniata da ultracycler uomini?
Riuscire a tenere ritmi così elevati è stato difficile. Già dalla prima tappa un atleta russo ha cercato di mettermi in difficoltà. Lui, campione mondiale su pista di velocità, non ha perso occasione di scattare per mettermi in difficoltà mentalmente. Non sopportava la mia presenza, sostenendo che se fossi arrivata al traguardo con loro avrei sminuito la gara (è salita sul terzo gradino del podio, ndr). Non avrei mai pensato di tenere ritmi e consumi di energia così elevati, e mi sono confrontata con questa paura, che ho superato tappa dopo tappa.
Qualche consiglio alle donne che ci vogliono provare?
Non farsi intimidire da mentalità ottuse e dare il massimo. Diversi concorrenti erano scettici, ma quando dimostri sulla strada che ce la fai, il rispetto lo guadagni sul campo.
Cosa cambia a pedalare in team?
Cambiavamo ogni ora, dunque nel tempo di riposare eravamo sottoposti a uno stress mentale altissimo. Quando il fisico si ferma e riparte continuamente è pesante. Devi mangiare ogni ora e non c’è regolarità nel ritmo.
Cos’hai imparato dal tuo compagno di avventura?
Paolo ha più esperienza e mi ha aiutata tanto nella gestione delle tappe lunghe (fino a 1400 km, ndr) e nell’alimentazione. In una tappa di 40 ore si arriva a perdere 4-5 chili.
Il momento più critico?
Di notte, il gruppo viaggiava veloce e ho avuto paura di non farcela.
Abbiamo percorso 800 chilometri su strade in costruzione con tratti pieni di buche, ghiaia, e un concorrente si è addormentato in corsa.
Il momento più bello?
Quando ho incontrato una ciclista russa di 74 anni, da tre mesi in viaggio per scoprire il suo Paese, ho pensato che davvero i limiti sono solo mentali. Poi, pedalando le ultime tappe, le più vicine alla ferrovia, ho realizzato la mia impresa. Guardavo sfrecciare i treni, immaginavo i passeggeri dentro quelle carrozze e pensavo: “io la Transiberiana la sto facendo in bici!”.
Il paesaggio che ti è rimasto dentro?
Gli spazi infiniti sopra la Mongolia. Ho provato sensazioni che mi hanno riportata sulla Pampa argetina. La Transiberiana comunque è stata un’esperienza unica: uno Stato, due continenti. Si passa dagli 0 ai 40 gradi, per cinque zone climatiche e sette fusi orari diversi.
Riesci a conciliare vita privata e passione per l’estremo?
Non è facile, ma per me è una scelta di vita che è diventata anche un lavoro.
Ultracycler si nasce o si diventa?
Si diventa. La passione per la fatica mi ha portata fin qui. Per me è soddisfazione e divertimento. E se ti diverti, per quanto pesante sia la situazione, riesci a superare tutto. Anche le condizioni più estreme.
Silvia Ricciardi