La Volpe a Pedali e l’arrivo nella splendida Varsavia

varsavia notte

varsavia di notte

Rita Sozzi e la sua faticosa pedalata verso Varsavia

Quanto è bella Varsavia? Scrivo da sotto la Colonna di Sigismondo, nel cuore antico di questa città, dove sono arrivata domenica, pedalando contro vento.

L’altro ieri salutavo gli amici, ieri ero a Praga, oggi qui, nella capitale polacca. In realtà sono in viaggio già da 17 giorni, ho doppiato la boa della metà del percorso. Ora i chilometri alle spalle sono più di quelli che mi attendono. In questa settimana ho attraversato la parte più orientale della Repubblica Ceca, per poi passare in Polonia e percorrere tutta la Slesia, il manubrio sempre rivolto a nord-est. Sono stati giorni di nuvole, qualche acquazzone, moltissimi boschi e campi a perdita d’occhio.

L’unica città degna di nota, tra una capitale e l’altra, è stata Breslavia, una vera perla per le sue cattedrali ed il rynek, l’antica piazza del mercato. Il resto è stato un lentissimo tuffo nel passato, in luoghi rurali e fuori dal tempo, dove ancora padri e figli stanno a schiena curva nei campi. Mele, patate, cavoli, cipolle, mucche, fieno, cicogne, e di nuovo mele, patate, cavoli … La vita qui scorre lenta, tra corteccia e torba, e ci si muove a cavallo o sul trattore, piano piano. La differenza tra città e campagna, in Polonia, è ancora forte. Le prime sono centri di cultura finissima, moderne, ben più europee di quanto si voglia ammettere; sono fucine che hanno forgiato il nostro logos, dalla scienza alla musica, dalla letteratura alla medicina. Le seconde sono rimaste ai tempi della repubblica popolare, e vanno avanti a vodka e ultranazionalismo. Ma il clima che si respira è sereno. I boschi antichi e la terra nera proteggono questi luoghi, che ancora portano le cicatrici della violenza della storia recente. C’è grande dignità anche nella più piccola delle baracche di legno dispersa fra le betulle.

La Polonia è fondamentalmente pianeggiante. E ciò significa poca fatica di gambe e grande impegno mentale nel non farsi vincere dalla monotonia di questo smisurato susseguirsi identico di un paesaggio immobile, che pare un fondale di cartone. Guccini cantava “L’angoscia che dà una pianura infinita/ hai voglia di me e della vita”… Ed è così. Ma, per una che viene dal p(i)attume che circonda Milano, par quasi di essere a casa.


 

Certo, dopo qualche ora si vive una sorta di esperienza mistica al di fuori del divenire, in un’apparente fissità delle cose, come se il mondo si fosse sganciato dallo spazio-tempo e rimanesse in stasi, forse in attesa, forse al suo termine. Ma basta una statale un poco più trafficata per riportare alla realtà e al suo trascorrere.

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Fortunatamente la serie interminabile di temporali, che mi ha perseguitata fin dalla partenza, sembra essersi fermata al confine ceco, che ho passato sotto ad un acquazzone tremendo. Per scaramanzia lo dico sottovoce, ma è stato così; e per fortuna: è un’estate fredda, questa, e al mattino ci sono meno di 10 gradi. In ogni caso, nelle due settimane di viaggio, ho anche appreso l’arte stoica del perfer et obdura, dell’accettare serenamente tutto ciò cui strada e cielo decidono di sottopormi, conformando il mio logos a quello che muove la natura. In termini post-moderni, facendomi scheggia del caos che corre senza attriti nel più vasto caos cosmico.

 

Arrabbiarsi contro il caso sfortunato non sortisce altro effetto che peggiorare la situazione, ché tanto ci si bagna comunque, si fa fatica comunque, ma pure con cattiva disposizione d’animo. E’ una forma mentis quasi buddhista. Accolgo ciò che avviene come una mano aperta, che lascia trascorrere la realtà in movimento, senza tentare di afferrarla o piegarla con il pugno chiuso. Sarebbe come tentare di trattenere una manciata di vento.

 

Filosofia a parte, tra tre giorni passerò il confine Bielorusso. Sposterò le lancette avanti di un’ora e mi inoltrerò in un paese per me del tutto sconosciuto. Si tratta di un salto nel vuoto, con qualche timore e molta fiducia. E’ la porta all’ultima parte del viaggio, quella davvero “orientale”; il visto, l’alfabeto cirillico, il rublo, la falsa idea di democrazia, la propaganda di fonderie e grano autarchico, il KGB, le assurde leggi di un governo che ancora crede alla cortina di ferro …

Tutto conduce lontano nello spazio e nel tempo. Sarà un’esperienza indimenticabile, ne sono certa. Lasciare la Parigi del nord non sarà semplice: si sta bene qui. Ma Minsk e Mosca mi attendono, e sono ormai prossime all’orizzonte. Non resta che ritornare sulla strada, “sulla strada per conoscere chi siamo”… Ci aggiorniamo tra una settimana dalla capitale della Russia Bianca!

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Reportage di Rita Sozzi

redazione viagginbici: