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La prima, ghiotta occasione, per capire dove sta andando l’industria della bicicletta noi italiani l’abbiamo avuta gli scorsi 11, 12 e 13 settembre a Rimini, dove si è svolta un’edizione davvero speciale dell’Italian Bike Festival, la fiera, o meglio il festival, dedicato alle novità dell’industria “ciclo”. A tutti gli effetti quello di Rimini è stato il primo evento espositivo di questo sfortunato 2020 segnato dal Covid e dal distanziamento sociale.
L’italian Bike Festival si è confermato anche quest’anno come azzeccato evento dedicato sia al pubblico che agli addetti ai lavori: la formula con ingresso libero, gli stand all’aperto e la possibilità di provare le biciclette (ma in realtà le regole del momento hanno imposto ai tester di provare i nuovi modelli solo nella apposita Off Road Arena attrezzata all’interno dell’area fieristica) si sono rivelate soluzioni quanto mai indovinate ed hanno portato nella città romagnola un bel po’ di gente, compresi noi addetti ai lavori della stampa specializzata che lì in Romagna ci siamo fatti un’idea chiara di cosa dove l’industria e il mercato bici stanno andando.
Gravel, gravel, ancora gravel
Commercialmente parlando in Italia gli ultimi dodici mesi hanno visto letteralmente esplodere le “gravel bike”, ovvero un segmento che oltre confine aveva già avuto lo stesso riscontro anche prima. I grandi, ma anche i piccoli marchi, stanno per questo investendo sempre di più in questo genere, diversificando un’offerta prodotto che si fa sempre più ricca ed eterogenea. Viagginbici.com si era già occupata di come il segmento gravel si è organizzato oggi, proponendo modelli più orientati verso l’asfalto oppure altri più imparentati con l’off road. La tendenza per il 2021? I più si indirizzano verso gravel bike capaci soprattutto sui terreni in fuoristrada. Telai con uno spazio sempre maggiore concesso alle gomme, geometrie sempre più comode e se non bastasse biciclette che si attrezzano non solo con una forcella anteriore ammortizzata, ma in certi casi anche con sistemi di ammortizzazione posteriore, danno a queste più recenti gravel bike connotazione e caratteristiche che non le fanno sfigurare su terreni fino a ieri appannaggio delle sole mtb. Esemplare in questo senso è la Cannondale Topston Carbon Lefty, lei e la sua forcella anteriore capace di 30 millimetri di escursione, lei e il suo carro posteriore in grado di flettere quando la bici transita sulle asperità dei sentieri o del sottobosco. Sulla stessa linea anche l’italiana Basso, che proprio a Rimini ha ufficializzato la nuovissima Tera: più o meno come accade per la Topstone Carbon Lefty anche la Basso Tera ha un carro posteriore in grado di assorbire le vibrazioni del terreno grazie ad un punto di snodo posizionato sul tubo verticale. Ulteriore novità e peculiarità, in questo senso è il fatto che la Tera accoppia in modo inedito il carbonio impiegato sul carro posteriore “oscillante” e l’alluminio, usato su un triangolo anteriore che in così riesce anche ad essere leggero e super rigido. A cosa serve la rigidità su bici destinate (anche) a terreni sconnessi come sono le “gravel”? In realtà questo è un falso problema: gravel bike di questo tipo consentono di ospitare gommature davvero generose, che con la loro grande capacità di incamerare aria, compensano abbondantemente l’eventuale rigidità o la “durezza” che deriva dalla struttura o dal materiale con cui è realizzato il telaio.
Quando la gravel è “full”
Non era presente a Rimini ma chi scrive ha comunque avuto il modo di provarla qualche giorno dopo: anche la Niner MCR 9 RDO ben rappresenta il sempre più ricco sottosegmento di gravel bike biammortizzate, con la differenza che in questo caso, più che di sistemi per assorbire i colpi, abbiamo a che fare con una vera e propria architettura di sospensione, ovvero con un quadrilatero oscillante proprio come accade sulle mtb full suspended. La MCR 9 RDO è una “full” con escursione proporzionata alle necessità del gravel biking (4 centimetri sulla forcella, 5 cm sul carro) e con un telaio che svolge non solo la funzione di smorzare i colpi, ma anche di “copiare” il terreno in salita, con l’effetto che la bici migliora non poco le sue doti di trazione sui terreni smossi.
Gravel a pedalata assistita? Sì, grazie
Per tornare a quanto visto a Rimini, un altro modello che documenta quanto il gravel stia sempre più propendendo verso l’off-road (e meno verso l’asfalto) è la Frontier del giovane marchio italiano Vent: anche questa è una full, con uno schema elastico proprietario e per di più con una natura a pedalata assistita, gestita strategicamente da un’unità della Fsa posta nel mozzo posteriore. La Vent è in realtà una concept-bike, ovvero una bici non ancora sul mercato: esprime però bene una tendenza in atto da qualche stagione, che con il passare del tempo viene rafforzata e sposata da molti costruttori: “motorizzare” le gravel è il modo migliore non solo per avvicinare al genere chi è poco allenato, ma più che altro permette anche a chi è abbastanza allenato di spostare un po’ più in la il limite (sia in termini di distanza, sia di dislivello) del proprio raid o della propria avventura, visto che proprio questo tipo di bici sono le più caratterizzate in senso “adventure”.
E-road bike, un segmento che fa discutere
Sempre in ambito “elettrico” degne di nota sono le novità che due importanti marchi hanno presentato rispetto al segmento forse più dibattuto dell’industria ciclistica, quello delle e-road bike, cioè delle vere bici da corsa ma con assistenza elettrica. A Rimini Wilier Triestina ha svelato la Hybrid, ovvero la versione con telaio in alluminio e prezzo più accessibile di un modello che, nella più costosa variante in carbonio, era stata introdotta un anno fa, con la Cento10 Hybrid. Da parte sua la svizzera Scott ha presentato la Addict eRide, una e-road bike che fa notizia perché con batteria e motore (incluso nel mozzo) ferma l’ago della bilancia a soli 10.25 chili! Più che le caratteristiche tecniche in sé, novità del genere fanno parlare e discutere in merito all’effettiva utilità che l’assistenza elettrica ha sulla tipologia di bici che più di ogni altra ha una vocazione, una storia e soprattutto una tipologia di utilizzo decisamente più votate al “muscolare” che all’“assistito”. Perplessità del genere in realtà si scontrano con le intenzioni della grande industria, che evidentemente in questo nuovo segmento crede e sta investendo. Crediamo che sarà il tempo a dirci se tutto questo abbia davvero un senso oppure se era solo una semplice moda …
Una nuova generazione di motori da Mtb
Se c’è un settore dove invece l’assistenza elettrica ha davvero centrato nel segno, beh questo è il mondo della mountain bike, dove ormai da anni le vendite di “e-mtb” hanno surclassato quelle delle mtb muscolari (almeno nel segmento di media e alta gamma). Non a caso proprio nelle unità destinate al fuoristrada di registra un grande fermento tecnico da parte dei produttori; uno di questi è Shimano, che con il suo nuovo EP8 ha introdotto un motore specifico per le mtb elettriche. L’EP8 è più leggero (2.6 Kg) e più compatto del suo predecessore, lo step E 800, ha una maggiore potenza di coppia (fino ad 85 Nm), ma soprattutto ha un’architettura e una gestione progettati per non snaturare l’approccio al vero mountain biking. «Anche se assistita – dicono i responsabili Shimano – la bicicletta deve rimanere una bicicletta». E questo vale ancora di più nella mtb dove un motore troppo esuberante può finire solo per essere controproducente, perché ti “trascina” nei passaggi tecnici e rischia di farti perdere l’equilibrio. Il nuovo EP8 risponde con caratteristiche dimensionali identiche a quelle della normale pedaliera da mtb e soprattutto perché la sua assistenza è di tipo estremamente progressivo, tiene conto dei pignoni che in quel momento si stanno utilizzando e inoltre permette anche di personalizzare l’erogazione dell’assistenza sia attraverso i livelli disponibili sia attraverso la possibilità di impostare due diversi profili di riding, ad esempio in base al percorso che quel giorno si va ad affrontare.
A Rimini è stato Mario Cipollini in persona a svelare per la prima volta al pubblico la Dolomia, modello super leggero del marchio che porta il suo nome: la Dolomia è un modello che da della leggerezza estrema suo il punto di forza. Questa bici, lei e i suoi 780 grammi per un telaio in taglia grande, più che altro fanno notizia perché rimettono al centro dell’attenzione la riduzione di peso dopo molte stagioni in cui il requisito più ricercato dai produttori era stata l’aerodinamica, la capacità del mezzo di fendere l’aria. La Dolomia non è certo la bici più leggera la mondo, ma il fatto che metta la riduzione di peso in cima alle sue priorità assolute fa notizia e siamo sicuri che a breve, dopo di lei arriveranno altri modelli “piuma”, perfetti per gli scalatori e per i corridori leggeri.