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Sardegna mineraria
Per questa via passa la rivoluzione industriale e sociale di una regione speciale, non solo per statuto. Il volto della Sardegna mineraria è una pagina ingiallita che dev’essere raccontata e visitata anche da chi abita nel continente. È memoria collettiva, un popolo che è cresciuto e ha sofferto con i suoi giacimenti, un territorio plasmato dalle infrastrutture per l’estrazione, una devozione ineluttabile alla santa patrona dei minatori. Il cammino di Santa Barbara racconta questo, e molto di più, nei suoi 400 chilometri ad anello. Siamo all’estremo sud-ovest della bellezza sarda, sugli antichi sentieri storici delle miniere che raggiungono il mare, nell’area del Sulcis – Iglesiente e del Guspinese.
Dove passavano sciami di lavoratori anneriti, pronti a scomparire nell’oscurità delle gallerie sotterranee, ora non si incontrano che turisti e guide appassionate. Vecchie mulattiere, carrarecce e ferrovie per il trasporto dei minerali grezzi e mercantili vivono una fase di riconversione, da provare in mountian bike. Quelle che un tempo potevano sembrare eresie antieconomiche, tipo la valorizzazione sostenibile dei territori minerari, la loro musealizzazione, la proposta di itinerari enogastronomici, sembra oggi una realtà ricercata dal basso, a partire da volontari e cittadini consapevoli. L’associazione culturale Pozzo Sella ne è un esempio. Nata nel 2001 per chiedere la formale istituzione del parco geominerario storico ambientale della Sardegna, quest’organizzazione lavora ora in prima linea per fare del Cammino minerario di Santa Barbara un importante itinerario europeo, à la Santiago. L’idea, nata cinque anni fa, è di aprire al visitatore un angolo di Sardegna che offre un percorso a cavallo tra storia e ambiente, geologia e cultura, arte e religione.
Una storia, quella sarda, che a inizio Ottocento già contava una cinquantina di miniere dove l’estrazione di piombo, ferro, rame e argento andavano per la maggiore. L’ultimo censimento delle aree minerarie dismesse, realizzato ormai 15 anni fa, ha elencato 169 siti che punteggiano l’intera regione con cicatrici profonde quanto le miniere, tutte da rimarginare.
Ripercorre questi luoghi lungo il cammino di Santa Barbara, tra Iglesias e Masua, Montevecchio e Villacidro, Nuxis e Sant’Antioco, significa incontrare e conoscere la storia millenaria delle miniere. C’è il sistema infrastrutturale nato in funzione dell’attività estrattiva, ma anche le strade romane lastricate, i segni della civiltà nuragica, i percorsi più antichi e autentici dei minatori. Tutto questo attraversando montagne, colline, coste a falesia e dune.
Il percorso, candidato all’Italian Green Road Award, inizia nella città mineraria di Iglesias, passa per il sistema dunale di Piscinas, villaggi minerari dimenticati, siti sotterranei di archeologia industriale e numerosi luoghi di culto dedicati a santa Barbara, per poi tornare al punto di partenza dopo 24 tappe a piedi, una settimana di tour per i ciclisti. Con una pendenza media del 6 per cento e picchi del 10-15 per cento – in tratti molto limitati -, lungo il cammino sono presenti punti di ristoro, servizi, visite guidate ai siti sotterranei su prenotazione. Non essendo ben segnalato e in alcuni tratti non perfettamente tracciato si consiglia di munirsi di una guida o di un appassionato che conosca bene il percorso.
Masua e Porto Flavia
Tra i luoghi da non perdere, Masua. Quando Gabriele D’Annunzio passò di qui – era il 1882 -, dalle miniere dell’Iglesiente estraevano a pieno regime. Il giovane poeta si trovò di fronte a un’umanità logora, che raccontò nel suo reportage per la rivista Cronaca Bizantina. Fu però nel 1924 che Porto Flavia divenne un sistema portuale per l’imbarco del materiale estratto. Un’infrastruttura unica, che permetteva di caricare direttamente sui piroscafi i minerali attraverso nastri trasportatori. L’impianto è fermo dal 1961, ma è possibile visitare il museo sotterraneo e affacciarsi al grande scoglio di Masua, il faraglione Pan di Zucchero.
L’isola di Sant’Antioco
Legata alla terraferma da un ponte e da un istmo artificiale, è la quarta isola italiana per estensione. I due centri abitati, Sant’Antioco e Calasetta, sono mete turistiche di primo piano non solo per i litorali paradisiaci, ma anche per una tradizione gastronomica che spazia dai culurgiones ripieni ai malloreddus, fino all’esotico cuscus e piatti a base di tonno.
Sulcis in fundo: i vigneti del Carignano
I profumi del Mediterraneo da bere, in questo lembo meridionale di Sardegna, hanno un nome che fa eco per tutta l’isola, quello del Carignano del Sulcis. Uve rosse che maturano da Calasetta a Nuxis sprigionano nel bicchiere i venti carichi di salsedine e i profumi della macchia mediterranea. È un vino dal colore rosso rubino intenso, sapore strutturato, morbido e rotondo, ideale con arrosti, carni o un pecorino sardo ben stagionato. Il cammino di santa Barbara incrocia qui la strada del vino, dove è consigliabile sostare a Santadi e visitare l’omonima cantina, con una tradizione di più di mezzo secolo di valorizzazione dei vitigni autoctoni.