La meraviglia del cicloalpinismo, una fusione di montagna e bici

La montagna al centro, la bici poi: la meraviglia del cicloalpinismo

Nel caleidoscopio mondo delle mille specialità del ciclismo off-road da qualche tempo se ne è aggiunta una che in realtà non avrebbe tutti i crismi per essere codificata e definita come tale. No, perché a differenza delle tante discipline ed espressioni del mountain biking in questo caso il mezzo tecnico non è al centro di tutto, ma è semplicemente strumento e attrezzo per godersi al meglio il contesto in cui questa bella disciplina si pratica: la montagna. Signore e signori, ecco a voi il cicloalpinismo, che più che alle due ruote è prima di tutto riconducibile allo spirito, la filosofia e l’etica di quella “sovradisciplina sportiva” che è l’alpinismo.

«Più che un andare in bicicletta il cicloalpinismo è un modo di vivere la montagna con la bicicletta»: ci spiega Paolo Coccia, pioniere del cicloalpinismo, che la sua bici in vetta la porta sin dai primi anni Novanta e che oggi  in sella alla sua Specialized termina traversate epiche soprattutto sulla catena appenninica.

Paolo Coccia, pioniere del cicloalpinismo nell’Appennino

Si pedala e ci si inerpica

Nel cicloalpinismo ci si avventura sulle montagne, quelle toste e “vere”, in sella a una bicicletta. Anzi no: nel cicloalpinismo si pedala, ma soprattutto ci si inerpica, si va per lunghi tratti con la bici in spalla, portandosi dietro un fardello che pesa almeno 14 – 15 chili. Ma in contesti del genere non si farebbe meglio ad andare a piedi? «No, per raggiungere una vetta non è detto che si debba necessariamente fare tutto il sentiero a piedi spingendo la bici o portandola in spalla. Nel cicloalpinismo capita spesso che più di metà del tragitto per salire in vetta sia “ciclabile”, magari percorrendo tracce o sentieri che mai erano stati solcati dalle nostre “ruote grasse”».

Questo aggiunge un pizzico di esclusività e di soddisfazione in più a questa disciplina montana; e soprattutto, una volta in cima, ci si può godere tutto il divertimento, l’adrenalina e il tecnicismo che la mountain bike nella sua accezione “classica” può assicurati in discesa, con dei percorsi che il più delle volte esaltano i tecnicismi, i passaggi tecnici e chiamano in causa abilità che rasentano un’altra delle tante sfaccettature tecniche delle due ruote, quella della bici da trial.

Prudenza e accortezza

A proposito di abilità e discese: le parole d’ordine dei cicloalpinisti quando sono in sella sono prudenza e accortezza, soprattutto quando ci si cimenta in discesa; esattamente come per l’alpinismo, le condizioni spesso estreme in cui si pratica bandiscono nel modo più assoluto velocità o funambolismi oltre il limite: «Risolvere un incidente o prestare soccorso ad alta quota – ci ricorda Paolo – è tremendamente più complesso e delicato che farlo in contesti prossimi alla “civiltà”».

Il portage

In un’uscita di cicloalpinismo la proporzione tra tratti a piedi e tratti in sella può spesso essere nettamente a sfavore della seconda; non è raro fare oltre mille metri di dislivello di portage, ovvero di tratti in cui si porta la bici in spalla.

Per portare la bici in spalla le tecniche in uso sono diverse; la più gettonata è quella di capovolgere la bici e portarla dietro le spalle, facendo più o meno coincidere il movimento centrale con le vertebre cervicali. Non manca chi per salire con la bici utilizza cinghie con cui ancorare la bici lateralmente al corpo, oppure chi la bici se la carica a mo’ di “ciclocross”, ovvero sostenendola con il tubo superiore poggiato sula spalla in tutti i casi (rari a dire il vero) in cui l’ingombro del telaio lo consenta. Infine, non manca chi, per preferenze oppure per motivi fisici, al portage preferisce lo spingere al suo fianco la bici, in modo da non sovraccaricare troppo ginocchia e caviglie.

Insomma, a differenza di tutte le altre discipline ciclistiche off road, nel cicloalpinismo non è tanto importante che il percorso sia ciclabile, visto che l’ingrediente principale da ricercare è il contesto montano o “alpino” dell’uscita.

La bicicletta

Come è fatta una bici per il cicloalpinismo? Nulla di esoterico «È una normalissima mtb da enduro o da all mountain che si utilizza per questa specialità». Di sicuro, una bici per praticare cicloalpinismo dovrebbe avere coperture davvero generose, in modo tale non solo da ammortizzare nei passaggi più tecnici, ma anche per “galleggiare” meglio sulle pietraie, molto più di quello che si riuscirebbe a fare con le coperture più esili e minimalistiche della bici da fuoristrada. È per questo che nel contesto del cicloalpinismo, anche le fat-bike  non sfigurano, lei e i suoi “gommoni” da oltre tre pollici e mezzo di sezione, anche se in questo caso il peso sale ancora e soprattutto mancano le unità ammortizzanti.

Sono invece molto adatte tutte le mtb con formato “plus” delle coperture, e ovviamente tutti i mezzi che abbiamo una doppia – e aggiungiamo generosa – sospensione: almeno 160 millimetri sulla forcella e altrettanto sull’ammortizzatore posteriore. Che poi “per colpa” delle gomme generose o delle sospensione la bici pesi uno o due chili in più questo conta relativamente: chi pratica cicloalpinismo sa bene che tratti più o meno lunghi in cui portare la bici a spalla sono da mettere in conto; in questo senso la filosofia deve essere quella di prendersela comoda e procedere con passo lento ma costante, con un ritmo regolare e su traiettorie sempre sicure. Appunto, esattamente come succede nell’alpinismo, quello vero.

Maurizio Coccia: Ex agonista, prima della mountain bike, poi della bicicletta da corsa, tuttora pedalatore incallito, soprattutto su asfalto. Ha scritto per oltre quindici anni sulle storiche riviste “La Bicicletta” e “ Bici da Montagna". Si occupa di informazione su riviste specializzate di biciclette e portali on-line, soprattutto di tecnica e di nuovi prodotti.