La via Francigena in Lazio, da Campagnano alle cascate di Monte Gelato (II)

  • lunghezza: 27 km
  • dislivello in ascesa: 476 m
  • fondo stradale: sentiero sterrato, tagliata etrusca, ghiaia, tratti sconnessi [mountain bike]

TRACCIA GPX

La civiltà etrusca fu per secoli permeata da quella romana, e di secoli più antica: il loro territorio si estendeva a nord di Roma per tutto il Lazio settentrionale, la Toscana e l’Umbria, e ancora oggi rimangono molti segreti su questo popolo. Il loro modo di costruire strade era molto più insinuante e discreto di quello romano, che invece prediligeva il trionfalismo delle consolari ampie e dirette, e là dove sorgeva un ostacolo – naturale o artificiale che fosse – lo rimuoveva con prepotenza; gli etruschi no, aggiravano, scartavano, scavavano nel tufo le loro tagliate seminascoste da una vegetazione folta e ombrosa, i loro sentieri erano curvilinei ed esili.

Ne è un esempio lampante questa seconda parte di itinerario sulla Francigena, che è l’ideale prosecuzione di quello già descritto tra Roma e Campagnano: si tratta di un’ippovia percorribile a piedi, in mtb o cavallo che sfrutta la rete dei meravigliosi sentieri della Valle del Treja, che separa Campagnano Romano da quella perla dell’Etruria che è il paesello di Calcata: nel giro di pochi colpi di pedale si concentrano secoli di storia, dalle prime popolazioni italiche ai feudi medievali, passando per la dominazione romana, ma anche ere geologiche e biodiversità dal fascino unico.

Si tratta di un percorso piuttosto sconnesso, che mischia ampi vialoni sterrati a tratti scoscesi e scalini di legno, in cui è necessario scendere dalla bici, a meno che non siate esperti biker; in ogni caso, la mountain bike è d’obbligo, e il fango sempre in agguato. Ma le asperità del terreno sono poca cosa, specie a fronte delle bellezze naturali di cui è ricca questa zona.

Da Campagnano usciamo lungo via San Giovanni, per tornare a godere della ruvida campagna laziale, fatta di ampie distese diagonali in cui gli aratri tormentano le zolle, di orizzonti di cani che abbaiano e di rapide folate tra i rovi. La quiete agreste è disturbata a tratti soltanto dal rombo dei motori del vicino autodromo di Vallelunga. L’andamento nervoso e scostante della strada sterrata ci cambia continuamente prospettiva, senza annoiarci mai: lievi saliscendi, panorami e colori sempre diversi. All’altezza di Mazzano, possiamo avvicinarci a Calcata lungo la sponda destra del Treja, le cui acque sfiorano il muschio dei massi tondi: un locus amoenus degno di Orazio o Virgilio. Il paesaggio si fa ombroso e silente, compaiono qua e là ruderi di necropoli etrusche semidimenticate.

Giunti all’incrocio con la provinciale asfaltata, la seguiamo per circa un chilometro per guadagnare quota e l’ingresso del borgo di Calcata: la sua silhouette inconfondibile e mistica, che si rivela sempre un po’ a fatica strappandola alle nebbie della vallata, è adagiata su un unico, enorme blocco di tufo, isolandola quasi dal resto del mondo.

Accessibile soltanto a piedi, questo paesello che conta poche decine di abitanti è stato in passato ritrovo di varie comunità di hippie e artisti, e ancora oggi vanta una produzione di artigianato locale che attira un certo turismo di nicchia.

Dopo una meritata sosta (le specialità gastronomiche, dai dolci di forno ai piatti a base di tartufo, sono molto apprezzate) proseguiamo per la via del ritorno lungo il ripido sentiero etrusco che porta ai piedi del masso tufaceo sul quale poggia la città.

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All’ombra del vecchio borgo, riprendiamo un’altra strada verso Mazzano lungo l’altra sponda del Treja, dopo averlo attraversato con un suggestivo e rozzo ponte di legno. Da qui in poi ci attende un divertente tratto di lungofiume (occhio alle curve improvvise e al fango, perché in questo punto non ci sono protezione e si rischia un volo nelle limpide acque del torrente) nel bel mezzo del bosco.

Una volta passata la provinciale di prima, se ci teniamo ancora sul lato sinistro del Treja come da traccia gpx ci ritroviamo in un boschetto che sembra davvero uscito da un luogo ancestrale e fiabesco: i colori vivi danno un’atmosfera surreale a queste poche centinaia di metri che vale la pena percorrere col fiato sospeso. colori irreali.

Da qui in poi il sentiero è segnalato in maniera più chiara e protetto con staccionate e gradini di legno, e ci capita di incontrare anche un suggestivo ponte sospeso di corde. Ma anche se siamo sulla via del ritorno, le fatiche non sono finite: anzi, ci attende una dura scalata verso Mazzano, la cui fine è scandita dall’apparizione dell’antico lavatoio, dove è presente una fonte per rinfrescarsi dopo lo sforzo: attraversato il centro storico del paese, ora tocca a una ripidissima discesa che ci riporta quasi a forza sulle sponde dell’ormai familiare Treja, per passare stavolta un ponte di pietra.

Di nuovo l’ombra, di nuovo il silenzio rumoroso del bosco: l’ultimo sforzo è una salita che si fa largo attraverso una tagliata etrusca scavata nel tufo, nel verde brillante delle felci e del muschio.

 

Guadagnata la sommità della collina, siamo di nuovo ai margini della Valle del Baccano, che ci condurrà di nuovo a Vallelunga e a Campagnano. Sulla strada del ritorno, però, è quasi doverosa una deviazione per le meravigliose Cascate di Monte Gelato, vera e propria oasi mitologica dove le acque si sposano con le rocce.

http://www.mapmyride.com/routes/view/1025531503 

Claudio Mancini: Cicloturista per vocazione, ciclista urbano per necessità, sono felice del fatto che dove finiscano le mie zampe inizi sempre un paio di pedali. In sella a bici scassate ho attraversato l'Europa e valicato passi montani, e finora sono sempre tornato a casa. Mi piace scoprire in modo grottesco e poetico i posti che attraverso, dall'alto dei 20 km orari. Adoro il cibo locale e l'aggettivo "casareccio", le strade provinciali e i passaggi a livello. Scrivo diari di viaggio per ricordarmi per quali luoghi sono passato (www.abbondantiedozzinali.it).