In mountain bike in Val di Taro immersi in una natura ancora incontaminata.
Partiamo dall’Agriturismo Le Carovane in una mattina tersa e frizzante, il sole ancora basso che illumina i tetti e le mura del Castello.
O sarà questa luce, così trasparente e carica di profumi, che vien voglia di fare la scorta e prendersela tutta per quando a Milano, ci mancherà. O sarà lo scalpiccio dei cavalli, che li senti galoppare lontanissimo, e poi improvvisamente te li trovi con il loro trotto leggero fuori dalla stanza, che si affaccia proprio su un prato molto frequentato dagli ospiti equini dell’agriturismo.
Comunque, dopo una lauta colazione a chilometro zero con uova “rubate” dal pollaio, pane e torte fatte in casa e latte appena munto, siamo pronti e carichi di energia.
Io dichiaro subito alla nostra guida, Giorgio Genovese, che in Mountan bike sembra esserci nato e vanta un passato da agonista, che di me dovrà avere pietà e aspettarmi, o tirarmi, o forse addirittura portarmi, che, insomma non sono proprio abituata a questo sport, solo all’apparenza molto simile alla bici da corsa. Lui mi rassicura e partiamo.
Il primo tratto scorre via liscio, nel senso che lo percorriamo sull’asfalto della provinciale che porta al Passo del Bocco. Ma dopo pochi chilometri svoltiamo a sinistra su una stradina la cui insegna indica Casale. La salita è davvero decisa, anche se ancora asfaltata, ma per poco. In pochi tornanti la strada è un ricordo che lascia posto ad uno sterrato largo e con una buona pendenza. Il cielo è blu punteggiato da nuvole di tutti i colori e appare a scompare a intermittenza, da un bosco di faggi in cui la nostra (mia) lentissima ascesa si infila decisa. Io mi sforzo di non scendere ad ogni sasso più grosso, a ogni buca. La velocità si abbassa fino a sfidare la forza di gravità, ma non mollo, anche a causa delle scarpette agganciate al pedale che mi legano saldamente alla bici. Quando sbuchiamo in alto, fuori dal bosco, fuori da tutto, siamo sull’Alta Via dei Monti Liguri, ma per quel che ne so io potremmo essere anche arrivati con una mountain – macchina – del tempo in un qualsiasi punto della preistoria quando l’uomo non aveva ancora costruito nulla.
Infatti, attorno a noi ci sono solo montagne e colline e prati e pascoli e rocce, senza traccia umana. E’ incredibile come il cielo sembri grande quando non ci sono costruzioni a definirlo.
Andiamo avanti così, alternando tratti tecnici in cui io fatico a stare in sella, anzi proprio scendo e cammino, a pezzi facili e divertenti, tra sentierini disconnessi e pietrosi, a slarghi dolci e ondulati. L’unica cosa che non cambia è la bellezza toccante della primavera fiorita che pervade ogni angolo di questo paradiso, regalando macchie improvvise di colori sgargianti a questo mare di verde e di blu.
Adesso è facile andar su, e posso addirittura concedermi di parlare, e Giorgio, che innamorato di queste terre come solo chi se l’è scelte e non trovate per diritto di nascita può essere, mi racconta di quali e quanti giri diversi si possano fare tra queste montagne, nei boschi, o sui crinali, partendo direttamente da Le Carovane e muovendosi sui sentieri dei cavalli in percorsi ripidi e molto tecnici, o sui crinali, attraverso strade bianche più abbordabili anche per bikers tranquilli, fino a raggiungere il Taro o il Ceno, nelle cui pozze freschissime immergersi per un bagno tonificante.
Arriviamo al Passo con un discreto appetito e troviamo di che rifocillarci al ristorante del Rifugio Passo del Bocco che propone piatti del territorio a cavallo tra Emilia e Liguria, focaccia che si combatte il menu con le torte d’erbe e la baciocca.
Quando ripartiamo, la mia guida, ormai quasi un vecchio amico, mi regala un altro bel pezzo di salita fino a Compiano per poi ridiscendere verso l’agriturismo Le carovane ma questa volta su un sentiero bello facile come piace a me.
Alla fine, abbiamo fatto una settantina di chilometri, la maggior parte sterrati o peggio e nonostante il pranzo di poco prima ci godiamo una bella merenda al sole sul prato de Le Carovane: un pezzo del loro parmigiano biologico accompagnato da un bel bicchiere di Ortrugo, vino del territorio e nonostante oggi ne abbiamo fatti parecchi, ci sentiamo davvero a “chilometro zero”. Ci lasciamo al tramonto con le gambe stanche e gli occhi pieni di belle immagini con una promessa reciproca: io, di impratichirmi un po’ col fuoristrada e Giorgio di portarmi di nuovo a spasso per le sue montagne.