ROMA: ASSE DEGLI ACQUEDOTTI TRA NATURA E STORIA

roma ride

Roma ha tanti strati e livelli, ognuno lasciato da un’epoca diversa.

Ogni strato è stato edificato sul precedente, a volte dentro il precedente, creando un confusionario ammasso di storia unico al mondo.

E a volte i tesori di quella che è stata la più grande metropoli del mondo antico sono sotto il naso di tutti,

solamente mescolati ad altre costruzioni, al punto che è difficile tenerne la traccia in un quadro di insieme.

E se è stata risparmiata e anzi presa a modello urbanistico la struttura delle vie consolari, quel sistema a ragnatela che aveva l’Urbe come punto di partenza di arterie dirette ai margini di tutto l’Impero (origine del detto che tutte le strade portano a Roma), lo stesso non si può dire per

la rete degli acquedotti che rifornivano la città di scorte idriche:

di quell’infrastruttura imponente rimangono solo alcuni tratti fatiscenti, più alcuni ruderi all’interno dell’area urbana, che questo itinerario in bici si propone di seguire. E queste tracce vanno rimesse insieme fino a scoprire la linearità di ciò che sono state un tempo, con un cammino tortuoso per parchi, ciclabili e vie poco trafficate, con una capillarità e un’agilità possibili soltanto a chi voglia spostarsi in bicicletta.

Partiamo dalla stazione ferroviaria Capannelle, in prossimità dell’omonimo ippodromo, collegata con treni da Termini con servizio di trasporto bici, per entrare immediatamente nell’immenso polmone verde del

Parco degli Acquedotti,

dove una serie di sentieri ci accompagna nella campagna urbana compresa tra l’Acquedotto Felice e l’Acquedotto Claudio.

Il nome simile non deve ingannare: mentre l’Acquedotto Felice è di epoca “relativamente” recente, essendo stato costruito tra il 1585 e il 1587 da Papa Sisto V, al secolo Felice Peretti, l’Acquedotto Claudio è antico  quanto l’Impero romano stesso: fu costruito infatti sotto due dei primissimi imperatori, Caligola e Claudio, tra il 38 e il 52 d.C.

Oggi di queste due colossali autostrade dell’acqua rimangono tracce considerevoli soprattutto in questa zona, alcune parzialmente interrate.

Continuiamo la nostra pedalata nel verde, tra campi di grano e gente che fa jogging, su tranquilli sentieri sterrati e senza alcuna difficoltà altimetrica: il percorso qui descritto è infatti tutto in pianura e al riparo dal traffico automobilistico, almeno fin tanto che si resta all’interno del Parco degli Acquedotti.

Un passaggio un po’ defilato sotto la ferrovia ci conduce tra i canneti nel confinante Parco di Tor Fiscale, altra grande area verde protetta: ci stiamo avvicinando al centro di Roma, e pare ancora di stare tra i pastori della campagna laziale. Qui ritroviamo alcune suggestive rovine dell’Acquedotto Felice, nella zona poi denominata Campo Barbarico: questa grande radura fu infatti utilizzata da Attila per accamparsi in vista dell’assedio di Roma, e proprio qui furono distrutti gli acquedotti per tagliare i rifornimenti idrici alla città.

Proseguiamo poi uscendo dai parchi e immettendoci nelle strade condivise col traffico: dopo un attraversamento di via Tuscolana che è consigliabile fare da pedoni – il traffico viene canalizzato proprio dalle arcate rimaste in piedi, e si presenta quindi come una struttura a collo di bottiglia che rende gli automobilisti ancor più nervosi e pericolosi del solito – per immettersi subito nella più tranquilla via del Mandrione; questa scelta si rivela preziosa per vari motivi: si tratta di una strada storica dove tutto pare rimasto in una dimensione senza tempo, dove i due acquedotti corrono paralleli alla ferrovia che va a Napoli e dove baracche e garage convivono allegramente sotto le loro arcate.

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Non a caso Pasolini e molti altri scelsero queste zone per i loro film, primo tra tutti “Accattone”. Il Mandrione era una zona anticamente malfamata e pericolosa, che è stata rivalutata negli anni, ma che riesce a conversare ancora oggi un po’ di quella romanità povera e autentica del secolo scorso e, che soprattutto, viene snobbata dal traffico automobilistico, attratto maggiormente dalle più scorrevoli consolari; si configura quindi come un corridoio privilegiato per entrare e uscire da Roma in bici.

Grazie alle sue tortuose curve, in alcuni punti anche molto scenografiche, per i passaggi sotto le arcate degli acquedotti, arriviamo così su via Casilina vecchia e di qui a Porta Maggiore, uno degli antichi punti di accesso alla città: qui ritroviamo altre tracce di acquedotto, che in questo punto scorreva parallelo alle mura.

È ancora l’acquedotto Claudio che ci guida lungo via Statilia e villa Wolkonsky fino a San Giovanni in Laterano, dove può iniziare una sorta di caccia al tesoro del rudere nascosto – o integrato – nella realtà urbana: per esempio in via Santo Stefano Rotondo, proprio a fianco della basilica di San Giovanni, sono visibili delle tracce di acquedotto Claudio dentro le quali sono state edificate delle case tuttora abitate.

Percorriamo il rione di San Clemente dal lato del colle Celio, dove proprio su via Claudia, all’ingresso di Villa Celimontana, sono visibili gli unici resti

dell’Acquedotto di Nerone, che riforniva d’acqua la Domus Aurea,

dimora dell’imperatore. Passiamo quindi sotto l’Arco di Dolabella per imboccare il Clivo di Scauro, che attraversa il Celio evitando il traffico attorno al Colosseo e offrendo una panoramica d’eccezione sul colle Palatino, proprio di fronte.

Ma dove finivano gli acquedotti ai tempi dell’Impero? O meglio, dove finivano gli scarichi dell’acqua? La risposta ce la offre il percorso qualche centinaio di metri più avanti:

nella Cloaca Maxima, il collettore fognario dell’Urbe

fin dai tempi dell’età imperiale. Percorrendo la corsia ciclabile che costeggia il colle Aventino su un fianco del Circo Massimo, possiamo poi imboccare il marciapiede riservato alle bici sul Lungotevere Aventino, attraversare Ponte Sublicio e scendere giù sulla Dorsale Tevere, della quale si è già parlato in questo articolo. Poco prima di Ponte Palatino, dalla ciclabile è possibile osservare bene i resti di questo enorme manufatto sull’altro lato degli argini del fiume.

Percorriamo quindi la ciclabile sotto gli argini del Tevere fino all’altezza di Ponte Sisto, dove possiamo sfruttare le canaline per le ruote della bici sulle scale per risalire al livello del traffico: ci troviamo ora in piazza Trilussa, cuore pulsante del quartiere di Trastevere e di fronte a noi c’è la

Fontana di Sisto V, ultimo scarico dell’Acquedotto Paolino

prima di tuffarsi nel Tevere.

Seguiamo quindi a ritroso il suo corso, affrontando la monumentale salita del Gianicolo lungo i bei tornanti alberati di via Garibaldi, fino alla Mostra dell’Acqua Paola, familiarmente detta Fontanone: realizzata nel 1611 da Giovanni Fontana, quest’opera raccoglieva le acque provenienti dai laghi di Bracciano e Martignano, a nord della capitale, per l’approvvigionamento idrico delle zone di Trastevere e Gianicolo, nonché dei giardini vaticani.

Alcuni resti dell’acquedotto, che sfrutta alcune strutture di epoca romana (Augusto prima e Traiano poi), sono visibili all’interno di Villa Pamphili, il più grande parco della Capitale; qui noi risaliamo a pedali il suo corso come salmoni, per concludere il giro nel verde urbano.

lunghezza: 20 km

  • dislivello complessivo: 159 m
  • fondo stradale: misto (sterrato nei parchi 50%, asfalto 30%, pista ciclabile 20%)
  • partenza: stazione ferroviaria Capannelle
  • arrivo: uscita Villa Pamphili altezza piazzetta del Bel Respiro

TRACCIA GPX

Claudio Mancini: Cicloturista per vocazione, ciclista urbano per necessità, sono felice del fatto che dove finiscano le mie zampe inizi sempre un paio di pedali. In sella a bici scassate ho attraversato l'Europa e valicato passi montani, e finora sono sempre tornato a casa. Mi piace scoprire in modo grottesco e poetico i posti che attraverso, dall'alto dei 20 km orari. Adoro il cibo locale e l'aggettivo "casareccio", le strade provinciali e i passaggi a livello. Scrivo diari di viaggio per ricordarmi per quali luoghi sono passato (www.abbondantiedozzinali.it).