Le Botteghe fiorentine su due ruote
Se la meraviglia di Firenze città d’arte è davanti agli occhi di tutti – e richiama secoli di lusso e ricchezza economica e culturale – l’unicità della sua anima è invece nascosta nelle pieghe dei quartieri popolari. E’ qui che nei primi decenni del novecento modesti artigiani, ambulanti e altri lavoratori di strada interpretavano l’arte dell’ arrangiarsi con soluzioni semplici e quindi geniali come “le biciclette per lavorare”: bici attrezzate come botteghe per andare incontro al lavoro là dove probabilmente c’era.
Luca Giannelli, fiorentino doc e cultore di storia gigliata, nel suo libro edito da Scramasax le ha chiamate “le botteghe fiorentine su due ruote” e ha raccontato di come Marco Paoletti, collezionista dell’identità toscana, le ha trovate mortificate perché abbandonate negli angoli più nascosti dei mercatini di un po’ ovunque e le ha rimesse a posto, togliendo loro polvere e anni di vita per rimetterle a posto come nuove.
Quella della famiglia Paoletti è una storia che si intreccia con la vita della Toscana come negli anni ’30 si intrecciava la paglia per ricoprire i fiaschi e sedie; oppure cappelli, come succedeva nella fabbrica di Maurizio Paoletti nonno di Marco, sistemata a Signa, la zona delle trecciaiole appunto. Giorgio, il padre, aveva una azienda meccano-tessile a cavallo degli anni Settanta mentre Marco ha lavorato per Lockman – orologi dall’isola d’Elba nel mondo – fino ad oggi che, passata da qualche anno la sessantina, si dedica esclusivamente alle sue ricerche.
Ed è stato il padre a cominciare quella delle bici, che Marco ha continuato frugando nei mercati, nei solai, ascoltando certi tizi, seguendone altri. E magari capitava che per fare il piacere di pulire le cantine, Marco ne intascava i loro tesori. Come la bicicletta del bottaro, che girava i poderi per aggiustare le botti e più in generale i contenitori di vino, e non va spiegato quanto importante fosse questo lavoro.
E allora ecco la bicicletta del calzolaio, con due valige: una montata davanti, orizzontale, con scarpe pronte. L’altra dietro, verticale, che aperta si trasformava anche in piano di lavoro e che conteneva forme di legno e colla di pesce, filo e forbici, gomme e lime, cuoio e martello.
Oppure quella del cappellaio che dietro aveva la macchina da cucire e tre cappelli già belli che fatti, mentre davanti aveva una valigia con paglia di Signa, due forme di legno, porta cappello e tuba da viaggio. Ma anche quella del fotografo, con due macchine fotografiche, cavalletto in legno e lastre e quindi mica una roba leggera da portare in giro.
E poi quella del materassaio, del norcino e del giocattolaio che si capisce cosa potesse contenere nelle valigie, per un totale di ventotto nell’edizione del novembre 2012 del libro, utili a raccontare le storie della gente che lavorava in bicicletta, cose ovvie che oggi sono inimmaginabili.
“La bici più difficile da trovare è stata quella del pompiere” ci fa sapere Marco, con la manichetta antincendio nel centro del telaio “mentre quella che sto ancora cercando è quella del gelataio, che poi non è una bici ma una specie di triciclo. Il sogno invece è un museo dell’artigianato e le sue tradizioni”.
“Alcune delle Botteghe fiorentine su due ruote sono comuni, magari con delle varianti, ad altre nel resto d’Italia” specifica Giannelli. Forse sì, però la bicicletta del venditore di pesci d’Arno, che pescava anguille e alborelle e le metteva in una zucca svuotata e poi riempita d’acqua per vendere in giro pesciolini vivi, è proprio l’anima di Firenze.
Luca Giannelli. Le botteghe fiorentine su due ruote. Ed Scramasax 83 pag 12,00 Euro
Alessandro Avalli