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Sono tornate le corse per la gioia di chi ama il ciclismo, ma noi non abbiamo guardato ai risultati tecnici e sportivi, ma abbiamo curiosato qua e là tra tendenze e stranezze che il Tour de France ci ha mandato in fatto di immagini. Questo il risultato.
Oltre il tubolare: il tubeless
Lontani i tempi in cui la sola tipologia di copertura utilizzata dai corridori era il tubolare: oggi molti team hanno in dotazione anche le coperture tubeless, che diversamente dai tubolari sono uniti in modo solidale al cerchio, ma mancano di camera d’aria (sostituita da un liquido interno sigillante che permette la tenuta ermetica dell’aria). Rispetto ai tubolari i tubeless sono generalmente più resistenti alle forature, hanno una bassissima resistenza al rotolamento e soprattutto pesano poco, vista l’assenza della camera d’aria.
Occhialoni per vederci meglio
Gli occhiali più gettonati dai corridori hanno spesso una lente “specchiata”, ideale per condizioni di elevata visibilità. La caratteristica più frequente riguarda però la montatura e il design: oggi sono scomparsi i modelli con montatura minimale per lasciare spazio ad occhiali più voluminosi, con montatura che va ben oltre l’area che corrisponde gli occhi. Occhiali di questo genere sono molto utili, perché offrono un campo visivo maggiore e massima visibilità anche quando gli occhi sono particolarmente ruotati. Inoltre, una lente più grande offre maggiore protezione dal vento e soprattutto limita l’accesso negli occhi di corpi estrani come insetti oppure detriti sollevati dal fondo stradale.
Maglie nere anche sotto il sole
I colori dei big-team che corrono il tour sono dei più diversi: prevalgono colori accesi, con tonalità spesso molto scure: blu mare come il caso della Movistar o addirittura tutto nero come il team Ineos Grenadiers. Ma come si fa a vestire di nero quando la temperatura sale e il sole picchia forte sull’asfalto e sui corridori? In realtà questo problema non sussiste: uno studio ha dimostrato che nel ciclismo professionistico l’incidenza dell’abbigliamento scuro rispetto alla percezione di calore è minima: la differenza nella percezione di calore tra un corridore vestito con un completo tutto bianco e uno con completo tutto nero è al massimo del 5%. Questo grazie alle velocità elevate che caratterizzano le corse moderne e del conseguente effetto di termoregolazione che il vento svolge sulla pelle.
Caschi? “Semi-aero” è meglio
Che l’aerodinamica sia il principale dei requisiti tecnici ricercati dai corridori lo dimostrano anche i caschi: la forma dei moderni caschi dei professionisti è definibile “semiaerodinamica”: non troviamo le calotte completamente chiuse tipiche dei caschi da cronometro, ma piuttosto una calotta in grado di penetrare bene l’aria e limitare le turbolenze, provvista però di poche, ma strategiche, feritoie di ventilazione, dislocate quasi sempre nella sezione anteriore.
Quando full carbon sono anche le scarpe
Non solo i telai e le ruote, non solo i reggisella o i manubri: oggi in carbonio i corridori utilizzano anche le scarpe. E non ci riferiamo semplicemente alla suola, che ormai da anni è in fibra composita per tutti i corridori. Parliamo della calzatura nella sua interezza, quindi della suola più la tomaia, che qualche corridore si fa realizzare in modo “custom”, appunto interamente in fibra di carbonio, per un peso complessivo davvero limitato e per una trasmissione di potenza ottimale tra piede e pedale.
Addio colletto
È sempre per un discorso di penetrazione aerodinamica (e solo in seconda istanza di ventilazione e refrigerazione) che le maglie estive dei corridori odierni hanno completamente abbandonato il taglio classico, con il colletto. La zip termina poco sopra lo sterno e cinge una maglia a maniche corte che aderisce perfettamente sulla pelle anche quando il corridore decide di aprirla un poco per favorire l’aerazione. Al contrario, in queste condizioni, le tradizionali maglie con il colletto sarebbero poco premianti in termini aerodinamici.
Posizioni estreme
Non è raro vedere un professionista posizionato in questo modo sulla bici: busto completamente attaccato al tubo superiore e mento che sfiora l’attacco manubrio. Questo è uno dei numerosi assetti aerodinamici che i corridori assumono quando si tratta di vincere la resistenza all’aria. Di tratta di posizioni che il ciclista della domenica assolutamente non deve imitare, perché stravolgono la normale distribuzione dei pesi sul mezzo concentrandola di solito sull’avantreno. In queste condizioni il controllo del mezzo, o peggio la correzione di un eventuale errore di guida, risultano impossibili.
Magrezza record
Un’immagine che la dice lunga sulle differenze muscolari tra un velocista (a destra) e uno scalatore (a sinistra), ma un’immagine che la dice lunga anche sulla magrezza estrema dei corridori professionisti. In certi casi – e parliamo soprattutto di scalatori – la percentuale di massa magra corporea scende sotto la soglia minima fisiologica del 6, 7 per cento. Il rapporto peso/potenza aumenta, è vero, ma aumentano anche la possibilità di essere attaccati da batteri e virus e in generale si abbassano le difese immunitarie dell’organismo. Questo è il motivo per cui i corridori sono attentissimi ai raffreddamenti nell’immediato dopo tappa e temono gli sbalzi di temperatura.
Perché tante cadute?
La pressione delle gomme è la prima imputata quando si cercano responsabilità nelle cadute dei corridori con la strada bagnata. Il problema dei pro-rider (che hanno la diretta responsabilità della pressione delle gomme, che comunicano preventivamente il giorno prima ai loro meccanici) è che tendono sempre a scegliere pressioni molto elevate, naturalmente con l’obiettivo di migliorare la scorrevolezza. Una scelta del genere può rivelarsi molto rischiosa, addirittura fatale, quando in corsa capita di incappare in un temporale inaspettato.
La rivincita dei freni tradizionali
Ormai la maggior parte dei team utilizza biciclette con freni a disco, al punto che in tanti giudicano quello tradizionale, ovvero “a pattino”, uno standard frenante destinato a morire. In realtà le vittorie al Tour de France (e non solo) del team Jumbo-Visma di Van Aert e Roglic hanno decisamente invertito questa opinione, ridando forza al “partito” che giudica i freni tradizionali migliori rispetto a quelli a disco. È propri così? La questione in questi termini è mal posta: i due standard hanno specifiche tecniche, tipologia di funzionamento, modalità di utilizzo e gestione delle problematiche completamente differenti, al punto che non è possibile fare un paragone assoluto ed oggettivo. Non solo, le vittorie del team olandese sono state tutte conseguite in condizioni atmosferiche di asciutto, situazione nella quale le differenze tra i due standard sono meno marcate.