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“Il Re dei Vini, il Vino dei Re”
Le Langhe
Oggi pedaliamo tra Barolo e Alba. Siamo nelle Langhe, basso Piemonte, dal 2014 divenute patrimonio Unesco, insieme a Roero e Monferrato, e basta guardarsi intorno per capire il perché. Colline strette, a volte molto ripide che si allungano dal confine ligure verso la pianura seguendo il corso del Tanaro. Colline che sono percorse da filari di viti, allineati e perfetti nelle loro geometrie, che sembrano disegnate più dalla mano di un designer, che non dalla sapiente mano di viticoltori esperti.
La storia
Qui la coltivazione della vite si perde nella notte dei tempi, ma l’inizio della storia del barolo ha una data quasi certa che si intreccia con la vita di Juliette Colbert de Maulévrier, pronipote del ministro delle finanze del Re Sole, e Carlo Tancredi Falletti, Marchese di Barolo.
Si sposarono nel 1806 e dividevano la loro vita tra Torino e Barolo. Giulia capì che le uve di Nebbiolo, coltivate nelle Langhe, così simile alle terre della Loira da dove lei veniva, potevano trasformarsi in un vino simile al Bordeaux. Fa ampliare le cantine dove poter permettere al vino di fermentare, al riparo dai rigori invernali, e di trasformarsi da “semplice” vino frizzante, in quello che tutti conosciamo come il Barolo moderno: il re dei vini.
Rimasta vedova, Giulia Colbert è una delle prime donne imprenditrici della storia. Grazie alle sue frequentazioni e al fatto che il Barolo, è un vino fermo, stabile, perfetto per il trasporto, riesce a conquistare tutte le corti europee e a trasformare il re dei vini, nel vino dei re.
L’opera pia
La Marchesa Giulia e il Marchese Carlo Tancredi morirono senza eredi. Alla loro morte l’Opera Pia Barolo, l’Ente Morale che la Marchesa aveva creato, divenne proprietaria di tutti i possedimenti, ed è in qual momento che il Barolo inizia la sua vitta commerciale. I primi asili infantili d’Italia, le scuole per ragazze madri o indigenti, le scuole professionali per le figlie di operai, tutto era finanziato dalla vendita del vino dei re.
Dopo alcuni decenni, nel 1929, l’Opera Pia Barolo decise di concentrarsi nel gestire le attività benefiche e vendette le cantine alla famiglia Abbona, che a tutt’ora con Ernesto Abbona, porta avanti questa storia nata da una storia d’amore e una intuizione femminile.
I giorni nostri
Ed è proprio con Ernesto che abbiamo il piacere di incontrarci per una visita alle cantine storiche dei Marchesi di Barolo, con qualche fuori programma di Vittorio, che salta letteralmente sulle botti di Barolo..
Dobbiamo pedalare e quindi non possiamo fare la degustazione, ma un sorso di Barolo DOCG Cannubi, ci sta. Torneremo sicuramente a fare visita ad Ernesto, che non smetteremmo mai di ascoltare, per la capacità di trasmettere la storia, la cultura e si, anche l’amore, che ci sta dietro e dentro ogni bottiglia.
La strada
Da Barolo percorrendo strade secondarie e sterrate che ci conducono alle porte di Alba, arriviamo con una facile salita in località San Cassiano, nella Tenuta Monsordo Bernardina, dove ha sede la cantina Ceretto, con meno generazioni alle spalle dei Marchesi, ma che ha fatto della valorizzazione del territorio, il suo fiore all’occhiello. E l’Acino ne è un esempio.
L’Acino
Siamo alla fine degli anni Ottanta quando la famiglia Ceretto decide di trasformare l’antico casolare della tenuta, storicamente legato alla storia d’amore tra Vittorio Emanuele II e la Bella Rosina, nel proprio quartier generale. La Tenuta Monsordo Bernardina, è circondato da 30 ettari vitati ed è il cuore dell’affinamento di alcune delle etichette più importanti di Ceretto. Nel 2009 a questo posto ricco di storia, viene aggiunta una istallazione, che diventerà il simbolo della cantine: l’Acino. Pensato per diventare una finestra panoramica sulle Langhe e allo stesso tempo un caldo luogo di accoglienza per i visitatori, come è successo a noi, mentre sorseggiavamo un ottimo Barolo Prapò.